La risposta dei governi alla crisi energetica non è quella giusta. E la transizione verde ristagna

Le considerazioni che accompagnano la pubblicazione del mega rapporto di REN21 sullo stato di sviluppo delle rinnovabili nel mondo.

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La storica opportunità di una ripresa economica verde dopo la pandemia è andata perduta.

Almeno per il momento la transizione energetica mondiale verso le fonti rinnovabili procede troppo lentamente, “rendendo improbabile che il mondo sarà in grado di raggiungere gli obiettivi climatici critici in questo decennio”, si legge nella nota stampa che accompagna la nuova edizione del Renewables 2022 Global Status Report (link in basso).

Al rapporto hanno contribuito più di 650 esperti della comunità globale REN21 che riunisce esponenti del mondo scientifico, politico, accademico, industriale e delle organizzazioni non governative, allo scopo di fornire dati attendibili e aggiornati sullo stato di sviluppo delle energie pulite.

Anche se molti più governi nel 2021 si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro metà secolo, “la realtà è che, in risposta alla crisi energetica, la maggior parte dei paesi è tornata a cercare nuove fonti di combustibili fossili e a bruciare ancora più carbone, petrolio e gas“, afferma Rana Adib, direttore esecutivo di REN21.

La stessa Unione Europea si sta muovendo in direzioni contrastanti: da una parte cerca di accelerare le misure del Green Deal, ad esempio con il voto del Parlamento Ue per vietare la vendita di nuove auto endotermiche dal 2035.

Allo stesso tempo, però, punta a sostituire gas e petrolio russi con altri combustibili fossili, come confermano i recenti accordi con Egitto e Israele.

Intanto la quota complessiva delle rinnovabili nel consumo finale di energia a livello mondiale è stagnante: era un 8,7% nel 2009, poi 11,7% nel 2019 e 12,6% nel 2020. La transizione verde insomma non si è ancora materializzata con tutto il suo potenziale.

Nel 2021 si sono installati 314 GW di rinnovabili e la quota delle fonti green è arrivata al 28% del mix elettrico complessivo (20% nel 2011), con dentro un 15% di idroelettrico, un 10% di eolico e solare e il resto tra bioenergie e geotermico.

Secondo REN21 la mancanza di progressi è molto preoccupante nel settore dei trasporti, dove la quota di rinnovabili non arrivava al 4% nel 2019. Anche negli edifici resta molta strada da fare, così come nelle industrie che restano fortemente agganciate agli utilizzi di fonti fossili per le loro attività.

Il rapporto evidenzia che il forte rimbalzo economico del 2021, dopo il tonfo 2020 – con il prodotto interno lordo globale in crescita del 5,9% – ha contribuito a un aumento del 4% del consumo finale di energia, di cui la maggior parte è stato coperto dalle energie fossili.

E ciò ha determinato un forte incremento delle emissioni di CO2 (oltre 2 miliardi di tonnellate in più rispetto al 2020).

Il 2021 ha segnato anche la fine dei combustibili fossili relativamente low cost, con il più grande aumento dei costi energetici dalla crisi petrolifera del 1973. I prezzi del gas hanno raggiunto circa dieci volte i livelli del 2020 in Europa e in Asia e sono triplicati negli Stati Uniti, portando di conseguenza a un aumento dei prezzi elettrici sui mercati.

“Il vecchio regime energetico sta crollando davanti ai nostri occhi – sostiene Adib – ma la risposta alla crisi e gli obiettivi climatici non devono essere in conflitto”, perché “le energie rinnovabili sono la soluzione più conveniente per affrontare le fluttuazioni dei prezzi energetici”.

Il problema è che molti governi hanno adottato misure per accelerare la transizione energetica, ma continuano anche a usare vecchie ricette, ad esempio concedendo sovvenzioni ai combustibili fossili.

Le industrie del carbone, petrolio e gas naturale, sottolinea REN21, sono state le principali beneficiarie della crisi energetica e delle risposte dei governi, ottenendo maggiori profitti e influenza politica.

Tra il 2018 e il 2020, i governi hanno speso ben 18 trilioni di dollari (18mila miliardi di $), cioè il 7% del Pil mondiale nel 2020, in sussidi ai combustibili fossili, in alcuni casi riducendo il sostegno alle energie rinnovabili (come in India).

E questa tendenza rivela un preoccupante divario tra ambizione e azione, come più volte rimarcato dalla Cop 26 sul clima dello scorso novembre 2021 in avanti.

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