Rimozione, il meccanismo umano per la pandemia e per la crisi climatica

La politica è ciò che è possibile o deve essere ciò che è necessario? Dalla rivoluzionaria sentenza della Corte Costituzionale tedesca l'insegnamento che abbiano il diritto e il dovere di criticare con forza l'assenza di concrete strategie climatiche.

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Solo l’interpretazione freudiana della rimozione come meccanismo di difesa da messaggi disturbanti, perché contraddittori o addirittura conflittuali con quello che è il nostro modo di interpretare la realtà, può spiegare l’insufficiente rilievo dato alla rivoluzionaria sentenza della Corte Costituzionale tedesca.

Essa ha concesso solo un anno e otto mesi al governo federale per cambiare l’attuale legge sul clima. Il punto forte della sentenza:

“… una generazione non può consumare gran parte del bilancio di anidride carbonica, sostenendo un obbligo leggero, se questo poi comporta un obbligo pesante per le successive generazioni, le cui vite saranno soggette a una grave perdita di libertà”.

Come ha sottolineato Bernard Pötter su “Die Tageszietung”, la corte di Karlsruhe ha corretto la giustificazione – “la politica è ciò che è possibile” – data da Angela Merkel nel 2019, presentando la legge tedesca sulla protezione sul clima, in “la politica deve essere ciò che è necessario”.

Lo impongono le conoscenze scientifiche, le tecnologie disponibili ce lo consentono e i costi evitati non agendo oggi comporterebbero interventi futuri non solo più onerosi, ma associati a limitazioni delle libertà personali.

Perché ciò avvenga, l’evoluzione degli orientamenti nel mondo produttivo e finanziario – in parte volontaria, ma soprattutto resa obbligatoria da appropriati indirizzi politici – va però accompagnata da una parallela trasformazione sociale, con stili di vita che facciano proprio il senso del limite.

Pandemia, metafora della crisi climatica

A comprendere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di quest’ultimo obiettivo può essere d’aiuto la crisi pandemica, interpretata come metafora della crisi climatica: ipotesi di lavoro che nel 2020 ha orientato tre miei interventi su questo portale.

Alle prime avvisaglie della pandemia, mi chiesi infatti cosa sarebbe successo se, come stava avvenendo per la crisi pandemica, tardive e insufficienti misure di contrasto a quella climatica avessero costretto i governi a reagire, introducendo misure draconiane, tuttavia senza poter contare sulla scoperta di un vaccino in grado di mettere sotto controllo la situazione in tempi ragionevoli.

Anche se di colpo si riuscisse ad azzerare le emissioni nette di CO2, il quantitativo in eccesso già presente nell’atmosfera vi permarrebbe mediamente per circa un secolo, continuando a far pesare i suoi effetti.

Di conseguenza, “al confronto, gli attuali disagi nella vita quotidiana e l’inevitabile peggioramento della situazione economica e sociale equivalgono a un’amorevole carezza sulla guancia” (Coronavirus e crisi climatica: differenze e analogie su impatti e reazioni, 6 marzo 2020).

Due settimane dopo, confrontando la media giornaliera di circa 209 decessi prematuri, da anni provocati dall’inquinamento atmosferico, con i circa 800 (in quei giorni) del Covid-19, osservai che la tranquillità con cui nelle aree maggiormente colpite dall’inquinamento la gente vive da anni una catastrofe dello stesso ordine di grandezza di quella pandemica “è spiegabile solo perché si sa che è reale, ma nello stesso tempo avulso dalla personale esperienza quotidiana … e continua a esserlo per le ormai non troppo lontane conseguenze di un’emergenza climatica non affrontata tempestivamente con la necessaria energia” (Epidemie, inquinamento e clima: una storia di inconsapevolezze e ritardi, 23 marzo 2020).

Convinto che quanto stava accadendo fosse copia conforme di un film che in due ore concentra quanto, nel romanzo da cui trae ispirazione, avviene nel corso di qualche decennio, un mese dopo, riprendendo la metafora, scrissi che “il dibattito odierno su quando, quanto e come ripristinare la normalità economica e sociale ripropone il nodo, arduo da sciogliere, sempre presente quando si devono varare provvedimenti per accelerare la decarbonizzazione dell’economia. Oggi, proteggere la salute dei cittadini, evitando una catastrofe economica e sociale. Oggi, ma ancor più domani, impedire la catastrofe climatica senza rinunciare a profondi cambiamenti, socialmente inclusivi, in ciò che si produce e si consuma” (Petrolio, clima e rinnovabili. Questo virus è come un film, 21 aprile 2020).

Un anno dopo, un politico spregiudicato ha scelto di sbandierare strumentalmente la riapertura di “tutto e subito”, perché è consapevole di riscuotere largo consenso tra i suoi concittadini.

Anche se rispetto ad altri paesi europei le proteste violente contro i divieti sono state sporadiche e di ridotta entità, abbiamo assistito alla interpretazione estensiva di ogni riduzione dei vincoli e a permanenti manifestazioni di dissenso silenzioso (mancato rispetto della distanza sociale, in giro senza mascherina), diventato ì rumoroso nella piazza del Duomo, invasa a Milano da migliaia di cittadini per festeggiare, senza alcuna protezione, lo scudetto dell’Inter; manifestazione che ha fatto inorridire il sottoscritto, che a otto anni era già un appassionato tifoso interista.

Nella crisi pandemica questi comportamenti non sono spiegabili con l’assenza di “una pistola fumante” che, nel caso della crisi climatica, malgrado le crescenti e drammatiche evidenze, si presta a trappole cognitive: è reale, ma nello stesso tempo non trova riscontri nella vita di tutti i giorni.

Eppure, i più di 122.000 morti, provocati finora in Italia dal Covid-19, sono una pistola fumante che non spaventa un numero sufficiente di persone.

La coazione a mettere tra parentesi la presenza del virus pur di tornare a comportarsi come se nulla fosse accaduto, è però coerente con quanto afferma Mustapha Mond, governatore mondiale per l’Europa Occidentale nella società immaginata da Aldous Huxley ne Il mondo nuovo, un libro del 1932, per molti aspetti profetico: «la civiltà industriale è possibile solo se non c’è rinuncia. Se non ci concediamo tutto fino ai limiti estremi dell’igiene e delle leggi economiche, le ruote cessano di girare».

Dovremmo preoccuparci maggiormente di questo macigno sul percorso che ci porta alla neutralità carbonica, e – mi metto anch’io nel mazzo – criticare sistematicamente l’assenza di concrete misure per rimuoverlo nelle strategie climatiche italiane ed europee.

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