Gli accadimenti che il decorso dell’epidemia continua a produrre, rafforzano le mie riflessioni uscite su “QualEnergia.it” del 6 marzo, cioè tre giorni prima del lockdown (“Coronavirus e crisi climatica, differenze e analogie su impatti e reazioni”).
Le vicende che si dipanano davanti ai nostri occhi sono infatti copia conforme di un film che in due ore concentra quanto, nel romanzo da cui trae ispirazione, avviene nel corso di qualche decennio.
A ritmo accelerato, l’azione del Covid-19 continua a presentarci problemi e rischi che in parte già oggi, ma soprattutto nel prossimo futuro, ci riproporrà la crisi climatica.
Nell’articolo del 6 marzo confrontavo le presumibili restrizioni alle libertà personali, imposte dalla diffusione del virus, con le conseguenze di una catastrofe climatica, quando la necessità di ben più gravi e duraturi divieti avrebbe presumibilmente provocato limitazioni crescenti alle libertà dei cittadini, alla fine ridotti a soggetti passivi di governi autoritari.
Ebbene, è già accaduto in Ungheria, dove Orban ha utilizzato l’epidemia per cancellare le ultime vestigia dello stato di diritto.
Attenzione, in modo più soft qualcosa di analogo potrebbe avvenire altrove. La lotta contro il virus ha di fatto cambiato le regole della dialettica democratica.
Anche in Italia l’urgenza ha reso pratica quotidiana decisioni prese con decreti del presidente del consiglio, a loro volta in notevole misura determinate dalle conclusioni degli esperti. Auspicabilmente la fine dell’emergenza dovrebbe ripristinare i normali meccanismi decisionali, ma, se la crisi climatica non fosse tempestivamente contrastata, questo è il futuro “migliore” che potrebbe verificarsi.
Il dibattito odierno su quando, quanto e come ripristinare la normalità economica e sociale ripropone il nodo, arduo da sciogliere, sempre presente quando si devono varare provvedimenti per accelerare la decarbonizzazione dell’economia.
Oggi, proteggere la salute dei cittadini, evitando una catastrofe economica e sociale. Oggi, ma ancor più domani, impedire la catastrofe climatica senza rinunciare a profondi cambiamenti, socialmente inclusivi, in ciò che si produce e si consuma.
Il film odierno descrive anche alcune trappole cognitive che dobbiamo evitare.
Quando ho saputo del prezzo negativo del petrolio, invece di gioire (qualcuno l’ha fatto), mi sono venuti i brividi.
Se quotazioni del greggio troppo basse durassero a lungo, l’energia prodotta da molte fonti rinnovabili cesserebbe di essere competitiva e anche un certo numero di interventi di efficientamento energetico diverrebbero non convenienti.
Ma vi è di più.
La finanza, ma anche i grandi acquirenti di energia elettrica e i trader hanno la memoria lunga. Pur con prezzi del petrolio tornati ai livelli precedenti, nel decidere finanziamenti con tempi di ritorno a medio-lungo termine, come sono di norma quelli energetici, l’esperienza odierna renderà i primi più cauti; come minimo, si cauteleranno con oneri finanziari più elevati.
I secondi saranno più restii a stipulare PPA o li caricheranno di garanzie destinate a renderli meno convenienti. In entrambi i casi, il crollo delle quotazioni del barile peserà negativamente sulle prospettive di sviluppo della green economy.
Il film dell’epidemia ci parla anche di un problema che nella transizione energetica va tenuto sempre sotto osservazione e adeguatamente governato.
Gli investimenti nel settore degli idrocarburi hanno tempi di ritorno pluridecennali. Quelli decisi ora renderanno disponibili almeno fino il 2040 determinati quantitativi di oil&gas. A maggior ragione, quelli decisi nel prossimo futuro.
Poiché, se avrà successo, il processo di decarbonizzazione diminuirà la domanda di idrocarburi, quello che attualmente è l’effetto congiunto della crisi economica provocata dalla pandemia e di una spericolata manovra dell’Arabia Saudita, in presenza di un elevato surplus di offerta si tradurrebbe in un calo permanente dei loro prezzi. Riproponendo così il dilemma odierno: accettare che il processo di decarbonizzazione rallenti o alzare il livello del prezzo del carbonio in misura tale da mettere a rischio la sopravvivenza l’industria degli idrocarburi, quando le produzioni carbon free non saranno ancora in grado di coprire l’intero fabbisogno energetico?
Un dilemma evitabile, solo se già oggi la strategia degli investimenti ne tenesse conto. Ma di questo problema non v’è traccia nei piani nazionali energia e clima degli Stati europei.
GB Zorzoli, insieme a Gianni Silvestrini, è autore del libro “Le trappole del clima e come evitarle” (Edizioni Ambiente).