Quanto è difficile far pagare chi inquina: il caso del referendum svizzero

  • 15 Giugno 2021

Bocciata la legge sulla CO2 che prevedeva diverse misure (tra cui nuove tasse) per abbattere le emissioni.

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Applicare il principio “chi inquina paga” è una delle mosse più difficili nelle politiche di transizione energetica verso le fonti rinnovabili.

Soprattutto quando i costi della transizione rischiano di colpire ampie fasce di popolazione, ad esempio attraverso un aumento dei prezzi di benzina e gasolio. Si era visto nel 2018-2019 con il movimento dei gilet gialli in Francia e le loro proteste (tra le altre cose) per il caro-carburanti.

Analoghi timori hanno portato alla bocciatura del referendum svizzero per la legge sulla CO2, dove il “no” ha prevalso con il 51,6% dei votanti (si veda il manifesto diffuso dall’UDC svizzera, nell’immagine-titolo).

La legge, approvata dal parlamento federale elevetico lo scorso settembre, avrebbe dovuto essere il pilastro della nuova strategia climatica della Svizzera, puntando a dimezzare le emissioni di CO2 nel 2030, in confronto ai livelli del 1990, e a limitare a 1,5°C l’aumento della temperatura media globale in confronto ai valori preindustriali.

Ma alcuni provvedimenti non erano di facile digestione per famiglie e imprese, preoccupate di doversi sobbarcare buona parte degli oneri della transizione energetica, a causa del previsto incremento della pressione fiscale sulle fonti fossili in diversi settori, dai trasporti al riscaldamento degli edifici.

Di seguito alcuni dei punti essenziali della legge respinta al referendum:

  • crescita graduale fino al 2030 della tassa della CO2 sulla produzione e importazione di combustibili fossili, portandola fino a 210 franchi per tonnellata di CO2 (ora l’importo massimo è 120 franchi);
  • aumento del supplemento massimo sui carburanti fossili, per la compensazione della CO2, fissato a 10 centesimi di franco al litro fino al 2024 e 12 centesimi dal 2025 (oggi: 5 centesimi);
  • introduzione di una tassa sui biglietti aerei pari a 30 franchi/passeggero per voli di medio e corto raggio e 120 franchi per i voli più lunghi;
  • introduzione di una tassa anche sui voli privati e commerciali, tra 500-3.000 franchi in base al tragitto e al tipo di velivolo;
  • obbligo dal 2025 di immettere sul mercato automobili, furgoni e camion sempre più efficienti e con minori emissioni di CO2;
  • diverse misure per diminuire l’uso di fonti fossili negli edifici nuovi e ristrutturati.

Secondo la legge, parte dei proventi di queste misure sarebbe stata ridistribuita alla popolazione, parte invece sarebbe confluita nel Fondo per il clima con cui finanziare vari interventi su edifici, infrastrutture e così via. Era prevista anche l’esenzione dalla tassa della CO2 per le imprese che investono in misure per il clima e per quelle con elevati consumi energetici.

L’associazione svizzera dei carburanti fossili, Avenergy Suisse, in una nota stampa ha definito “costoso, inutile e ingiusto” il progetto di legge sulla CO2 poi respinto dagli elettori, e ha riproposto la sua ricetta fatta di biocarburanti, idrogeno e combustibili sintetici “neutri” in termini di CO2 (si veda questo articolo per approfondire le criticità di un simile approccio).

La bocciatura del referendum svizzero è un altro, seppur piccolo, campanello d’allarme sui rischi di una transizione energetica percepita come troppo onerosa dalle famiglie e dalle imprese, con la conseguenza che occorre lavorare molto di più, a livello politico, per far comprendere i vantaggi delle tecnologie pulite e prevedere soluzioni chiare ed efficaci per incentivare il passaggio a soluzioni meno inquinanti nei trasporti, negli edifici e nei processi industriali.

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