Quale ruolo per il biometano in Europa?

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Il potenziale massimo di "gas pulito" sarebbe molto inferiore a quello finora stimato da Gas for Climate. I dati e le motivazioni secondo uno studio dell’istituto americano International Council on Clean Transportation.

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Quale ruolo può avere il biometano in Europa per diminuire l’utilizzo di gas fossile?

A porsi questa domanda è l’International Council on Clean Transportation (ICCT), l’organizzazione indipendente Usa che nel 2014 aveva smascherato i test fasulli di Volkswagen negli Stati Uniti, avviando lo scandalo dieselgate.

In un recente documento (allegato in basso: What is the role for renewable methane in European decarbonization?), gli esperti del’ICCT hanno esaminato il potenziale tecnico-economico del metano di origine rinnovabile, per capire quale sarà, presumibilmente, il suo contributo alla decarbonizzazione del sistema energetico europeo.

L’istituto americano evidenzia che questo contributo sarà abbastanza limitato.

Si parla, infatti, di percentuali piuttosto contenute nei diversi settori considerati. Ad esempio, il gas “verde” potrebbe valere circa il 7% dell’intera domanda di energia nei trasporti al 2050, oppure il 10% dei consumi per il riscaldamento degli edifici.

Tradotto in miliardi di metri cubi, siamo nell’ordine di 36 mmc al 2050 come potenziale massimo del gas “pulito”, quindi molto meno della stima diffusa recentemente dal consorzio europeo Gas for Climate, di cui fa parte anche il CIB (Consorzio Italiano Biogas: vedi QualEnergia.it per approfondire il caso italiano).

Il grafico sotto riassume le stime dell’ICCT nei vari settori e secondo differenti livelli di supporto al gas rinnovabile con incentivi.

In sintesi, si legge nel documento, le cifre sono così distanti da quelle pubblicate da Gas for Climate per una serie di ragioni, tra cui la maggiore prudenza degli analisti dell’istituto americano.

Lo studio ha identificato molteplici ostacoli allo sviluppo del biometano, tra cui la necessità di investimenti su vasta scala per realizzare le infrastrutture di approvvigionamento e distribuzione, la concorrenza tra i differenti utilizzi dei terreni (per l’agricoltura oppure a scopi energetici), la necessità di sostenerne la produzione con incentivi e così via (vedi anche questo studio di E3G).

Il documento dell’ICCT

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