Grande potenziale per l’idrogeno “verde”. Ma la strada è ancora lunga

Prospettive e limiti dell’idrogeno in uno studio dell’IRENA che analizza le possibili sinergie tra questo vettore energetico e le fonti rinnovabili.

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Sviluppare un nuovo mix energetico basato in parte sull’idrogeno è possibile, ma tutt’altro che semplice, quindi non bisogna considerare l’idrogeno come una panacea con cui risolvere il problema dell’inquinamento globale.

Anche perché non tutto l’idrogeno è davvero “pulito”: si può parlare di “green hydrogen” a zero emissioni di anidride carbonica solo in alcuni casi, quando la sua produzione avviene con elettrolizzatori alimentati con elettricità di origine rinnovabile (eolica, solare).

E qui intanto si rimane incagliati nei costi ancora elevati di produzione, oltre che nella necessità di realizzare le infrastrutture per il trasporto e lo stoccaggio di questo vettore energetico.

Il quadro insomma è veramente complesso, come emerge dal rapporto che l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili, l’IRENA (International Renewable Energy Agency) ha dedicato all’idrogeno e in particolare ai suoi legami con una futura economia a basso contenuto di carbonio.

Nel documento Hydrogen: a renewable energy perspective (allegato in basso), gli esperti dell’agenzia discutono il potenziale dell’idrogeno per la graduale eliminazione dei carburanti fossili nei vari settori, inclusi quelli più difficili da de-carbonizzare, come i trasporti pesanti e le attività industriali.

Con la fondamentale distinzione tra l’idrogeno ricavato da processi chimici che impiegano fonti fossili, eventualmente abbinato a sistemi per catturare la CO2 – si parla di “blue hydrogen” con tecnologie CCUS: carbon capture utilization and storage – e quello invece prodotto partendo da risorse rinnovabili tramite applicazioni Power-to-Gas (P2G).

Il punto è che idrogeno e fonti rinnovabili possono andare d’accordo per molti aspetti: ad esempio, si può sfruttare il surplus di energia elettrica dei parchi eolici e solari per far funzionare gli elettrolizzatori e poi l’idrogeno così generato può essere impiegato nei trasporti (veicoli fuel-cell con celle a combustibile), nelle reti di distribuzione del gas oppure stoccato per l’accumulo energetico stagionale.

Ricordiamo che di recente il colosso industriale CNH, cui appartiene anche il marchio Iveco, ha annunciato un investimento da 250 milioni di dollari nella società americana Nikola, che punta a produrre camion elettrici con celle a combustibile e a sviluppare una rete con centinaia di stazioni per il rifornimento dell’idrogeno.

Nel documento poi si stima che il costo degli elettrolizzatori si dimezzerà tra 2040-2050 rispetto al costo attuale che si aggira su 840 dollari per kW installato.

Produrre idrogeno con le rinnovabili sta diventando più conveniente ma lo studio avverte che è necessario favorire, anche con norme e incentivi specifici, gli investimenti in impianti di grandi dimensioni per fare economie di scala, oltre agli investimenti nelle infrastrutture di trasporto e distribuzione.

Le reti esistenti del gas, infatti, sono in grado di accogliere percentuali limitate di idrogeno; inoltre, bisogna rendere più efficiente l’intera catena di fornitura per ridurre le perdite di energia nei vari processi lungo la catena stessa, ad esempio nelle conversioni da elettricità a idrogeno e viceversa.

In questo momento, come spiegava a QualEnergia.it Giuseppe Nigliaccio del dipartimento Tecnologie Energetiche dell’Enea (vedi qui l’intervista completa), ci sono limiti tecnologici e colli di bottiglia nelle infrastrutture che rallentano l’uso dell’idrogeno nei consumi finali.

Ecco perché si stanno esplorando anche strade differenti, tra cui la metanazione biologica per trasformare l’idrogeno in metano.

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