Sarà l’idrogeno a salvarci da un dieselgate dei camion?

Il colosso industriale CNH scommette sulla società americana Nikola, che sta sviluppando i suoi Tir elettrici alimentati con celle a combustibile. Piani e strategie in sintesi.

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Difficile stimare se e quanti camion a idrogeno vedremo circolare sulle strade nei prossimi anni, ma c’è chi scommette su questa tecnologia per un futuro a zero emissioni nei trasporti pesanti su gomma.

Il colosso industriale CNH, di cui fa parte anche il marchio Iveco, ha appena annunciato un investimento di 250 milioni di dollari nella società americana Nikola, che negli Stati Uniti sta sviluppando un suo modello di business incentrato sulla produzione di Tir elettrici alimentati con celle a combustibile (FCEV: Fuel Cell Electric Vehicles) e sulla realizzazione di centinaia di stazioni per il rifornimento dell’idrogeno.

L’annuncio è arrivato lo stesso giorno in cui CNH ha divulgato il suo piano strategico 2020-2024 che prevede, in particolare, di creare una società separata, quotata in borsa, nel segmento “On-Highway” dei veicoli commerciali di grandi dimensioni e dei relativi propulsori, che comprenderà i marchi Iveco, Iveco Bus, Heuliez Bus, FPT Industrial.

E tra i principali obiettivi della futura compagnia c’è la diffusione di carburanti alternativi per i camion.

Ricordiamo che CNH Industrial appartiene al gruppo Exor, società d’investimento di diritto olandese controllata dalla famiglia Agnelli; la stessa CNH Industrial è divenuta operativa nel 2013 in seguito alla fusione per incorporazione tra CNH Global e Fiat Industrial.

La tecnologia fuel-cell, si legge in una nota, “è il successivo logico passo in avanti rispetto ai motori alimentati a gas naturale liquefatto (GNL)”.

Più in dettaglio, l’accordo strategico su base esclusiva con Nikola punta ad accelerare la tempistica di produzione dei modelli Nikola Two e Nikola Tre, grazie anche alle competenze tecnologiche rese disponibili da Iveco nell’ambito di questa collaborazione.

Il modello di business proposto dall’azienda americana, chiarisce poi la nota di CNH (neretti nostri), “prevede una modalità di leasing tutto compreso, anteprima assoluta per il settore, che include il veicolo, il servizio e le spese di manutenzione e rifornimento, offrendo un costo totale di esercizio a lungo termine equivalente o inferiore a quello del diesel”.

Certo la sfida resta ambiziosa, soprattutto pensando al quadro attuale europeo dove le infrastrutture per l’idrogeno sono ridotte al minimo; con qualche piccola eccezione anche italiana, ad esempio è notizia di questi giorni che la provincia di Bolzano sta testando l’utilizzo di nuovi bus elettrici a idrogeno e batterie che dovrebbero entrare in servizio entro la fine del 2020.

Ma i costi di questi mezzi sono ancora troppo elevati; inoltre, bisognerà costruire una rete europea di centrali per produrre idrogeno con elettrolisi da fonti rinnovabili, idrogeno che poi andrà stoccato/distribuito in modo capillare sul territorio per consentire ai camion di percorrere lunghi tragitti.

La stessa produzione dell’idrogeno “pulito” resta un’incognita per quanto riguarda l’efficienza, i costi e la disponibilità locale di energia elettrica in eccesso da eolico o fotovoltaico, la sola che permetterebbe di alimentare gli elettrolizzatori in sistemi Power-to-Gas (P2G) senza emettere CO2 (vedi qui un nostro approfondimento sul tema).

Intanto l’organizzazione indipendente Transport & Environment (TE) parla di un possibile nuovo dieselgate, stavolta per i camion, citando i risultati di uno studio tedesco, condotto dall’Università di Heidelberg, che ha misurato le emissioni di 141 modelli a gasolio in condizioni reali di guida.

Scoprendo che il 20% dei camion testati eccede notevolmente i valori massimi consentiti dalle normative Ue per l’ossido di azoto, tanto che gli autori della ricerca ipotizzano l’uso di software volti a manipolare illegalmente i valori delle emissioni.

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