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Nei primi due mesi di guerra le entrate della Russia da fossili vendute all’Ue sono più che raddoppiate

Dall'inizio dell'invasione, Mosca ha esportato in Europa gas, petrolio e carbone per un valore di 44 miliardi di euro. Germania e Italia i principali finanziatori, con rispettivamente 9,1 e 6,9 miliardi.

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I Paesi europei stanno letteralmente finanziando la guerra di Putin in Ucraina con le loro massicce importazioni di combustibili fossili, con Germania e Italia in testa.

A gettare nuova luce sulla dipendenza Ue da petrolio, gas e carbone provenienti da Mosca è un documento del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), organizzazione indipendente specializzata in analisi sui mercati energetici.

In due mesi, da quando è iniziato il conflitto, la Russia ha esportato fonti fossili (via tubo e via nave) per un totale di 63 miliardi di euro, di cui la fetta maggiore  è imputabile agli acquisti europei.

Difatti, le importazioni Ue di energia dalla Russia sono state di circa 44 miliardi di euro negli ultimi due mesi, rispetto ai circa 99 miliardi di euro di tutto il 2021 – si veda grafico Eurostat sotto – quindi circa 8,2 miliardi di euro al mese lo scorso anno.

In sostanza, il valore medio mensile delle importazioni energetiche Ue da Mosca è più che raddoppiato dopo lo scoppio della guerra, in confronto al 2021.

Al primo posto – si veda il grafico tratto dal documento del Crea – troviamo la Germania con 9,1 miliardi di euro relativi alle importazioni di energie fossili dalla Russia tra fine febbraio e fine aprile 2022; in Italia la cifra ha raggiunto 6,9 miliardi portando il nostro Paese in seconda posizione, davanti a Cina e Olanda con rispettivamente 6,7-5,6 miliardi di euro.

Sulle importazioni tedesche e italiane di energia dalla Russia pesa soprattutto il gas trasportato con gasdotti, che vale ben oltre metà del valore complessivo degli acquisti. La Cina invece importa essenzialmente greggio mentre i Paesi Bassi importano soprattutto petrolio e gas naturale liquefatto.

Un quarto delle fonti fossili esportate da Mosca su navi cargo ha raggiunto sei porti europei: Rotterdam è in cima alla lista con un valore stimato di 1,5 miliardi di euro per le importazioni totali di carbone, greggio e Gnl, davanti a un altro porto olandese, Maasvlakte (1,2 miliardi).

Al terzo posto ecco Trieste con importazioni per quasi un miliardo di euro, pagati soprattutto per il petrolio greggio.

Il problema, evidenziano gli analisti del Crea, è che finora la Russia ha aumentato i suoi profitti dalla vendita di gas, carbone e petrolio, anche a fronte di una riduzione di alcuni volumi esportati, perché la crisi energetica e la domanda sempre alta di carburanti fossili ha spinto i prezzi alle stelle.

Nelle prime tre settimane di aprile, si legge nel documento, le forniture russe di petrolio ai porti stranieri sono scese del 20% in confronto al periodo immediatamente precedente al conflitto ucraino (gennaio-febbraio). Mentre le forniture di carbone sono cresciute del 20% e quelle di Gnl del 50%.

Gli esperti quindi raccomandano di inasprire le sanzioni contro il settore energetico russo; se un embargo totale non fosse plausibile, si suggerisce di istituire tariffe sulle importazioni.

Inoltre, i Paesi Ue dovrebbero sviluppare il prima possibile un piano per sostituire le fonti fossili russe con energie rinnovabili e misure di efficienza; ciò avrebbe un impatto molto maggiore, in termini economici e di sicurezza degli approvvigionamenti, rispetto al cercare nuovi fornitori – come sta facendo il governo italiano con gli accordi in Africa e Qatar – rimanendo agganciati alla dipendenza da gas e petrolio, con relativi rischi geopolitici.

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