Nel particolare contesto attuale, un altro Stato europeo sceglie di accelerare sulle rinnovabili: il Portogallo.
Il Paese iberico non avendo problemi diretti di dipendenza dal gas russo, ma importando comunque tutto il metano consumato, venerdì ha annunciato di voler raggiungere l’80% di rinnovabili sulla produzione elettrica entro il 2026, cioè quattro anni prima del previsto.
Per il Portogallo si tratta di aumentare di oltre 20 punti percentuali la quota di rinnovabili nel mix elettrico. Si veda il grafico in basso, fonte Iea: a fine 2019 le Fer erano a circa il 54% della domanda elettrica, oggi sono a circa il 58% (fonte Apren, associazione portoghese delle Fer).
Il nuovo governo socialista portoghese, guidato da Antonio Costa (al suo secondo mandato), ha affermato nel suo programma generale, pubblicato il 1 aprile, che il suo piano energetico dovrebbe mobilitare oltre 25 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 10 anni, coinvolgendo attori pubblici e privati, incentivi e finanziamenti.
Il governo vuole anche “più che raddoppiare la potenza installata delle fonti rinnovabili nel prossimo decennio”, ha detto la ministra alla Presidenza Mariana Vieira da Silva in una conferenza stampa (di cui apprendiamo da Reuters). “Il Portogallo – ha aggiunto – ha già adottato misure molto significative nella transizione energetica, ma l’evoluzione e la durata della guerra in Ucraina devono necessariamente implicare nuove misure”.
A differenza dei paesi dell’Europa centrale, il Portogallo non dipende dai gasdotti russi: secondo i dati Eurostat sul 2020, dalla Russia arriva meno del 10% del gas (e il 6% del petrolio) consumato nel paeese, mentre i principali fornitori di gas (con un ruolo preponderante del Gnl) sono Nigeria, Usa, Quatar e Algeria.
Il Portogallo, che ha chiuso le sue due centrali a carbone nel 2021, ha 7,3 GW di capacità idroelettrica e 5,6 GW di parchi eolici onshore, 1,8 GW circa di fotovoltaico e circa 900 MW di bioenergie (si veda grafico sotto, cortesia Apren).