Politiche climatiche dei G20: troppe fonti fossili allontanano dagli obiettivi di Parigi

La classifica di Bloomberg New Energy Finance secondo 122 indicatori.

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Mancano nove mesi alla prossima tornata di colloqui internazionali sul clima (la conferenza Onu che si terrà a novembre 2021 a Glasgow, in Scozia) ma i paesi di tutto il mondo sono molto in ritardo nei loro piani per eliminare i combustibili fossili e ridurre le emissioni di CO2.

A rimarcare il notevole divario tra “dove si dovrebbe andare” e “dove si sta andando realmente” con le attuali politiche su energia e clima, è il nuovo studio di Bloomberg New Energy Finance (link in basso), G20 Zero-Carbon Policy Scoreboard, che esamina i piani per la de-carbonizzazione dei Paesi del G20, assegnando i relativi punteggi basati su 122 indicatori.

I punteggi sono espressi in termini percentuali: 100% lo meriterebbe un Paese del tutto allineato all’obiettivo stabilito nell’accordo di Parigi nel 2015, vale a dire, limitare sotto 2 gradi il surriscaldamento globale entro fine secolo, rispetto all’età preindustriale.

BloombergNEF evidenzia che, nonostante gli annunci dei mesi scorsi, con Cina, Giappone, Corea del Sud che si sono uniti all’impegno europeo di azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 (2060 per la Cina), per il momento governi e istituzioni continuano a investire massicciamente nelle stesse risorse fossili che hanno stabilito di voler eliminare entro pochi decenni.

Il succo è quello che sosteneva l’Unep nel suo Production Gap Report dello scorso dicembre: i Paesi dovrebbero tagliare del 6% ogni anno la produzione globale di combustibili fossili, se volessero realizzare un mix energetico compatibile con l’obiettivo di Parigi.

Più in dettaglio, la produzione mondiale di carbone, petrolio e gas dovrebbe diminuire, rispettivamente, dell’11%, 4% e 3% ogni anno.

Al contrario, i Paesi stanno pianificando di produrre complessivamente un 2% in più ogni anno di risorse fossili.

E come ricordava l’Unep, i Paesi del G20 hanno già destinato 230 miliardi di dollari, nei rispettivi piani di rilancio economico post-Covid, a settori industriali connessi all’estrazione e all’utilizzo di fonti fossili, ben più di quanto riservato alle tecnologie pulite (circa 150 miliardi).

Il risultato è il grafico seguente, tratto dal documento di BloombergNEF.

Nemmeno i Paesi più in alto nella classifica, con Germania e Francia in testa, hanno politiche di de-carbonizzazione sufficientemente avanzate in tutti i settori (produzione di elettricità, trasporti, edifici e così via), con un punteggio medio delle prime cinque Nazioni pari al 67%.

E già il secondo gruppo di Paesi, dove c’è l’Italia, non va oltre il 50% di punteggio medio, evidenziando le profonde lacune nelle misure volte a promuovere gli investimenti “verdi” e uscire dai combustibili fossili.

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