Perché ogni tanto le turbine eoliche sono ferme?

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Spieghiamo perché può capitare di osservare un parco eolico o alcuni aerogeneratori non in funzione per alcuni brevi periodi. Tenere inattive le macchine non è certo interesse di chi investe, perché se non producono elettricità non si ripagano.

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Una turbina eolica ferma non implica uno spreco intenzionale della risorsa naturale per la quale è stata installata.

Contrariamente a quanto vogliono far credere i detrattori delle rinnovabili, che sostengono possano esistere degli interessi di speculatori a non erogare il servizio, ci sono molti motivi che portano un aerogeneratore a non produrre energia, che vanno dalla manutenzione ordinaria a quella straordinaria, fino alla velocità del vento in quel sito e in quel momento.

In nessun caso, però, tenere inattive le pale è una scelta volontaria dell’investitore che ha fatto costruire il parco eolico.

Dal 2008 non è più possibile ricevere incentivi in conto capitale, e l’unica remunerazione dell’energia eolica deriva quindi soltanto dall’elettricità effettivamente generata e immessa in rete, pagata secondo un prezzo stabilito, che coincide con quello di aggiudicazione all’asta con il Gse ed oggi è intorno ai 75 euro al megawattora per un periodo di 20 anni.

L’energia eolica può anche essere venduta liberamente sul mercato energetico, senza però alcuna garanzia, ma quasi nessuno percorre questa strada, poiché la certezza di entrate sicure nel tempo e non soggette ad oscillazioni è spesso un requisito richiesto dalle banche che finanziano i progetti.

La questione però non cambia: se non si produce, non si guadagna. E considerando che una singola macchina eolica ha un costo intorno a 1,2 milioni di euro per MW di potenza, con le moderne turbine con taglie anche di 4 MW l’una, gli investimenti così ingenti che hanno bisogno di essere ripagati.

Esistono alcune condizioni che portano allo stop temporaneo degli aerogeneratori. Prima di diventare attivo, un parco eolico ha bisogno di alcuni tempi tecnici: dopo essere stato costruito nella sua parte strutturale, necessita di uno o due mesi per la connessione alla rete elettrica. Dopo questa fase, servono altri due mesi per le prove tecniche che completano il commissioning dell’impianto.

All’interno di un parco eolico in esercizio può anche succedere che uno o più aerogeneratori siano fermi a causa di un guasto (fulminazione di una pala durante un temporale, rottura meccanica di un componente, ecc.). Mediamente nell’arco di 6-8 ore si interviene con la riparazione, e l’aerogeneratore torna a produrre energia già entro 24-36 ore.

Esistono anche rarissimi casi di rotture dei componenti principali (generatore, gearbox, ecc.). In questi casi i tempi si dilatano e possono volerci anche fino a tre settimane per la riparazione visto che spesso si tratta di pezzi molto pesanti (un generatore pesa diverse tonnellate) che richiedono l’utilizzo di gru specifiche per essere sollevati e collocati; peraltro sono situazioni che portano a lungaggini burocratiche legate all’assegnazione di determinati spazi affinché questi mezzi possano operare.

La gran parte del periodo di stasi delle turbine è però dovuta alle specifiche condizioni del vento.

Un aerogeneratore ha un range di funzionamento che parte dai 2 metri al secondo e arriva fino a un massimo di 30 metri al secondo. Sotto la soglia minima la spinta non è sufficiente a far girare le pale e al di sopra scatta invece in automatico un freno di emergenza per motivi di sicurezza che così può evitare danni all’impianto.

Quest’ultima situazione “si verifica soltanto in qualche sito in Italia, e per poche ore l’anno”, ci ha detto Simone Togni, presidente dell’Associazione Nazionale Energia del Vento (Anev), che riunisce oltre 100 aziende che operano nel settore eolico e oltre 5.000 soggetti, tra cui produttori e operatori di energia elettrica e di tecnologia, impiantisti, progettisti, studi ingegneristici e ambientali, trader elettrici e sviluppatori.

Complessivamente per le manutenzioni ordinarie o straordinarie la mancata produzione di un intero parco eolico nazionale resta comunque molto contenuta. “In tutto possiamo perdere circa il 2%”, precisa Togni.

Per comprendere quanto del potenziale eolico venga sfruttato in Italia si fa riferimento al capacity factor, il valore teorico che individua il rapporto tra l’energia prodotta in un intervallo di tempo e quella che avrebbe potuto essere prodotta se l’impianto avesse funzionato, nello stesso intervallo, alla potenza nominale.

Il capacity factor individua quindi le ore equivalenti (convenzionalmente su base annuale) di funzionamento delle macchine alla massima potenza.

Delle 8760 ore di cui è composto un anno, gli impianti italiani producono producono al massimo della potenza in media per circa 2500 ore.

Quindi poco più di un quarto (circa 28%), ma è un dato che è cresciuto di pari passo con l’avvento dell’innovazione tecnologica. “Prima si installavano impianti con 2000-2500 ore equivalenti di funzionamento, ora si va dalle 2800 ore in su”, dice Togni.

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