Per gli obiettivi di Parigi serve un prezzo della CO2 a 160 $/ton

Stime e considerazioni di Wood Mackenzie.

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Chi inquina deve pagare ogni tonnellata di anidride carbonica molto più di quanto la paga oggi, altrimenti gli obiettivi climatici rimarranno fuori portata.

A ribadire la necessità di una carbon tax globale più onerosa è Wood Mackenzie.

Secondo la società di consulenza, infatti, il prezzo della CO2 dovrebbe salire a 160 dollari per tonnellata nel 2030 per rimanere su una traiettoria compatibile con l’accordo di Parigi, vale a dire, contenere a +1,5-2 gradi l’aumento della temperatura media terrestre a fine secolo, rispetto all’età preindustriale.

Nel 2020, scrive Wood Mackenzie, il prezzo medio del carbonio su scala globale – considerando i diversi schemi di carbon pricing, tra cui l’ETS europeo – è stato di appena 22 dollari per tonnellata di CO2 emessa. In Europa si è arrivati recentemente a valori sui 40 euro/ton.

Il punto, si legge poi in una nota, è che sarà impossibile limitare il surriscaldamento globale senza catturare, stoccare e riutilizzare enormi quantità di CO2 ricorrendo a diverse soluzioni: non solo il CCS (Carbon capture and storage), ma anche la tecnologia Dac (Direct air capture) oltre alle iniziative di riforestazione e ripristino di ecosistemi.

In sostanza, nei prossimi decenni, secondo Wood Mackenzie sarà necessario “catturare” alcuni miliardi di tonnellate di CO2 (si parla di 12 miliardi di tonnellate al 2050) riciclando l’anidride carbonica per diversi utilizzi nei settori industriali, ad esempio nella produzione di cemento e fertilizzanti.

Tuttavia, ci sono tanti rischi e tante incognite su tecnologie come il CCS.

Difatti, le politiche per il clima dovrebbero puntare innanzi tutto a ridurre direttamente le emissioni di CO2 con investimenti in efficienza energetica, tecnologie pulite già competitive (eolico, solare) e intanto sviluppare alternative, come l’idrogeno verde, destinate ai settori più difficili da de-carbonizzare (trasporti pesanti, industrie).

La sfida è ardua: i dati Iea sul 2020 mostrano che le emissioni di CO2 sono nettamente calate lo scorso anno (-6%) “grazie” alla pandemia ma già a dicembre si era tornati al business-as-usual con un forte rimbalzo delle emissioni.

Intanto a febbraio è fallito il maxi impianto americano che catturava la CO2 di una centrale a carbone, messo fuori gioco da difficoltà economiche e basse efficienze, come spiegato nell’articolo La cattura della CO2 fa un buco nell’acqua negli Usa: il caso di Petra Nova.

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