Nucleare Uk, continua l’odissea di Hinkley Point: potrebbe slittare al 2031

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Edf annuncia ulteriori ritardi per la messa in funzione del sito nel Somerset: nello scenario peggiore verrà ultimato nel 2031 e costerà 35 miliardi di sterline.

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Nel 2007, l’allora amministratore delegato di Électricité de France (Edf) Vincent de Rivaz dichiarò che entro Natale del 2017 i cittadini britannici avrebbero cucinato il tacchino nel forno di casa utilizzando l’elettricità generata dalla centrale nucleare di Hinkley, nel Somerset. Non è andata esattamente così.

Il processo di costruzione e messa in attività del sito – iniziato effettivamente nel 2016 – è stato al centro di diverse controversie e negli anni ha subìto molti rallentamenti. L’ultimo è stato annunciato proprio da Edf in una nota (link in basso) pubblicata martedì 23 gennaio.

Il progetto Hinkley Point C, che dovrebbe portare alla realizzazione di due reattori Epr per 3.260 MW complessivi, non vedrà la luce neanche entro giugno 2027, come affermato nelle ultime stime di maggio 2022.

Dopo l’ultima revisione l’azienda ha infatti delineato tre scenari con orizzonti temporali più dilatati: il primo prevede l’avvio dell’unità 1 di Hinkley Point C nel 2029, il secondo nel 2030 e il terzo nel 2031, con costi lievitati rispettivamente a 31, 34 e 35 miliardi di sterline. Per fare un paragone, quando il progetto ha finalmente ricevuto il via libera nel 2016, il suo costo complessivo era stimato in 18 miliardi.

Stuart Crooks, amministratore delegato del progetto Hinkley Point C, ha accusato per questo rialzo l’inflazione, il Covid e la Brexit. “Come altri grandi progetti infrastrutturali – ha aggiunto in un messaggio inviato al suo staff – abbiamo riscontrato che la costruzione civile è stata più lenta di quanto sperassimo e abbiamo dovuto affrontare carenze di manodopera e materiali“. Edf ha però precisato che i consumatori o i contribuenti britannici “non pagheranno un centesimo”, poiché i maggiori costi saranno “interamente a carico degli azionisti”.

Un’ulteriore grana nella messa in funzione del sito si è verificata a dicembre, quando il partner di Edf nel progetto, China General Nuclear, ha interrotto i suoi finanziamenti a Hinkley. Una decisione, quella dell’azienda cinese, presa dopo che il governo britannico l’aveva esclusa dal progetto gemello di Hinkley, Sizewell C, nel Suffolk, per motivi di tutela degli interessi nazionali. Se non troverà un altro partner, Edf dovrà pagare interamente per il progetto Hinkley Point C, al quale CGN partecipava con una quota del 33.5% .

Crooks ha minimizzato sul ritardo, affermando che il progetto è “ben oltre la metà del percorso” e che “molti rischi sono ormai alle nostre spalle”. Hinkley Point C sarà l’ultimo reattore Epr (ad acqua pressurizzata) ad entrare in funzione, dopo quello di Olkiluoto in Finlandia e di Flamanville in Francia. Anche questi ultimi due hanno fatto registrare notevoli ritardi (il primo è diventato attivo 14 anni dopo la data inizialmente prevista, il secondo sarà operativo a metà 2024, 12 anni dopo le previsioni) e sono costati più del triplo di quanto ci si aspettasse.

Edf ha anche dichiarato a gennaio che ritarderà di almeno due anni la chiusura di quattro dei suoi reattori nucleari nel Regno Unito. Le lungaggini sul sito di Hinkley Point C suonano come l’ennesimo campanello di allarme sul settore destinato a soddisfare un quarto della domanda nazionale di elettricità entro il 2050.

Il governo britannico ha preso molto sul serio la questione, lanciando lo scorso anno un ente finanziatore pubblico, Great British Nuclear, con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di nuovi progetti nucleari.

All’inizio di questo mese è stato inoltre definito un piano per la “più grande espansione dell’energia nucleare degli ultimi 70 anni”, battezzato “Civil Nuclear Roadmap”. Prevede la semplificazione delle procedure autorizzative per gli investimenti, lo stanziamento di 300 milioni di sterline per la produzione di combustibile nucleare, la realizzazione di un deposito per le scorie e la costruzione di almeno un’altra centrale di grandi dimensioni.

A causa del decommissioning degli impianti più vecchi, la quota del nucleare nel mix elettrico britannico è scesa dal 27% degli anni ’90 a circa il 15% odierno, ma Downing Street mira in alto e punta a raggiungere l’obiettivo di 24 GW al 2050.

Nel frattempo, nell’Unione europea continua il progressivo declino dell’energia nucleare. Secondo gli ultimi dati aggiornati da Eurostat, nel 2022 i 27 stati membri hanno generato 609.255 GWh di elettricità da questa fonte, il dato più basso a partire dal 1990, in calo del 16,7% rispetto al 2021. Le motivazioni principali fornite dall’ufficio statistico dell’Ue sono state la manutenzione dei reattori in Francia – che da sola produce quasi la metà dell’energia nucleare europea – e la chiusura di quattro reattori, di cui uno in Belgio e tre in Germania.

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