Mobilità sostenibile, diffondere e formare la figura del Mobility Manager

In Italia la figura del Mobility Manager fatica a decollare nonostante la crescente attenzione alla mobilità sostenibile. Quali sono gli ostacoli? E quali soluzioni e nuove competenze ne favorirebbero la crescita?

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Con l’evoluzione delle politiche europee verso la decarbonizzazione, la figura del Mobility Manager dovrebbe essere sempre più richiesta. Tuttavia in Italia diversi fattori ne rallentano la diffusione.

Vediamo allora chi è il Mobility Manager, quali ostacoli incontra e quali soluzioni possono favorirne la crescita, con un focus particolare sulla sua formazione e sulle nuove sfide della mobilità.

Chi è il Mobility Manager

La figura del Mobility Manager è stata introdotta in Italia nel 1998 con l’obiettivo di incentivare la mobilità sostenibile in contesti specifici, come aziende, scuole e pubbliche amministrazioni.

Con il Decreto Rilancio e nel contesto post-pandemia, questa figura è diventata obbligatoria per le aziende private e le pubbliche amministrazioni con oltre 100 dipendenti in una singola unità locale, situata in comuni con più di 50.000 abitanti.

Il suo compito principale è quello di elaborare Piani di Spostamento Casa-Lavoro (PSCL) per ottimizzarli e ridurre l’uso dell’auto privata, promuovendo soluzioni più sostenibili, come il carpooling, il bike sharing e i trasporti pubblici.

Ostacoli alla diffusione nel mercato lavorativo

Nonostante il crescente interesse per la mobilità sostenibile, il mercato del lavoro per i Mobility Manager in Italia è ancora piuttosto limitato.

Un primo ostacolo riguarda la formazione non standardizzata: per diventare Mobility Manager è necessaria una laurea in discipline come Ingegneria (trasporti, gestionale, ambientale), Scienze ambientali, Urbanistica, Economia e management (con focus su logistica o sostenibilità) o Scienze politiche (indirizzo ambientale o trasporti).

Inoltre, esistono corsi di formazione specifici, ma spesso sono intensivi e dispendiosi, con costi che partono da circa 800 €, fino a superare anche i 2.000 €.

Un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che il Mobility Manager è obbligatorio solo per le aziende con più di 100 dipendenti e situate in determinate aree. Per di più, spesso questo ruolo è assegnato a figure già presenti nel personale aziendale (come i responsabili delle risorse umane o della logistica), anche se non hanno una preparazione specifica.

Nel settore pubblico, inoltre, il ruolo deve essere assegnato a personale interno, riducendo così le possibilità di ricorrere a professionisti esterni.

La mancanza di sanzioni per le aziende che non nominano un Mobility Manager o non redigono il PSCL, insieme a budget insufficienti per la mobilità sostenibile, soprattutto nelle PMI, rende la situazione ancora più complessa.

A ciò si aggiunge la carenza di infrastrutture adeguate (ad esempio piste ciclabili, parcheggi per biciclette) e soluzioni di trasporto intermodale.

Molte aziende non dispongono degli strumenti necessari per raccogliere e analizzare i dati di mobilità (abitudini di viaggio, mezzi utilizzati e alternative disponibili), fattori essenziali per progettare interventi efficaci.

Infine, spesso le aziende e i dipendenti sono poco inclini ad adottare nuove modalità di spostamento sostenibili, e il Mobility Manager viene visto come un obbligo burocratico piuttosto che una risorsa strategica.

Alcune soluzioni possibili

Per favorire la diffusione del Mobility Manager, si potrebbero adottare diverse strategie. Un primo intervento potrebbe essere normativo: estendere gli obblighi del Decreto Rilancio anche a imprese più piccole e a contesti meno urbanizzati.

Inoltre, introdurre incentivi fiscali o contributi per le aziende che nominano un Mobility Manager potrebbe favorirne la diffusione e la formazione.

Per semplificare la redazione dei PSCL e migliorare il monitoraggio della mobilità aziendale, sarebbe utile creare piattaforme digitali che permetterebbe non solo di automatizzare la raccolta dei dati tramite sondaggi, ma anche di offrire modelli già impostati per creare i Piani Spostamenti Casa-Lavoro.

Un’altra soluzione potrebbe essere l’offerta di corsi di formazione gratuiti, finanziati da fondi pubblici o europei, per aggiornare e specializzare i professionisti del settore, come ha fatto la Camera di Commercio di Milano.

Le competenze del nuovo Mobility Manager

Il settore della mobilità sostenibile è in rapida evoluzione, e il Mobility Manager deve essere costantemente aggiornato per rispondere alle sfide attuali.

La sua formazione deve riguardare temi come la mobilità elettrica (infrastrutture e gestione delle flotte aziendali), la digitalizzazione (per ottimizzare i flussi di traffico con l’uso dei dati) e l’intermodalità (integrazione tra trasporto pubblico e privato).

È fondamentale tenere in considerazione la crescente diffusione della micromobilità, con un numero sempre maggiore di persone che scelgono biciclette o monopattini per i loro spostamenti quotidiani.

Allo stesso tempo, per il Mobility Manager, è essenziale comprendere il concetto di smart city e saper sfruttare i fondi europei destinati alla transizione ecologica ed energetica, una risorsa preziosa per sviluppare progetti pilota e sperimentare soluzioni innovative di mobilità sostenibile.

La formazione è cruciale, soprattutto per i Mobility Manager nel settore pubblico, dove l’esperto deve essere scelto tra il personale interno. Ma le carenze nella preparazione tecnica in molti casi limita l’efficacia di queste politiche comunali, soprattutto nei comuni più piccoli (vedi La lenta diffusione dei Piani urbani per la mobilità sostenibile).

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