Il Piano Urbano di Mobilità Sostenibile (PUMS) è uno strumento di pianificazione strategica che Comuni e Città metropolitane possono approvare per considerare, come un unicum, tutte le forme di trasporto: pubblico, privato, merci, ciclistico, pedonale e, in proiezione futura, quello con i droni.
Ha una durata decennale ed è stato individuato dall’Unione Europea come strumento per trovare soluzioni alle esigenze di mobilità urbana di persone e merci, considerando anche la lotta all’inquinamento atmosferico e al cambiamento climatico.
Nel nostro Paese, la predisposizione dei PUMS è obbligatoria per i comuni con più di 100.000 abitanti; non lo è, ma è fortemente consigliata, per le aree urbane con meno abitanti.
Stato dei PUMS in Italia
In Italia, il primo PUMS è stato approvato dal Comune di Torino nel 2011. Secondo i dati più recenti (aggiornati a novembre 2023) dell’Osservatorio PUMS, in Italia ci sono 80 Piani Urbani della Mobilità Sostenibile approvati, 57 adottati e 74 in corso di redazione, per un totale di 211 PUMS.
Questi si concentrano soprattutto in Puglia: 42 PUMS approvati, adottati o in redazione. Per continuare ad ampliare il numero dei comuni dotati di un PUMS, l’ente regionale pugliese ha recentemente aperto un bando con 240mila euro, assegnando fino a 65mila euro per la redazione di un nuovo PUMS e fino a 25mila per il monitoraggio di un PUMS esistente.
Nonostante questo, il fatto di avere in Italia quasi 8.000 comuni e solo 211 PUMS, dimostra quanto questo piano strategico faccia fatica a decollare.
Come il MIT supporta i PUMS
Proprio per facilitare l’adozione dei PUMS nelle città di medie dimensioni, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha recentemente pubblicato un documento guida dal titolo “Indirizzi operativi per la redazione del PUMS per i comuni da 50.000 a 100.000 abitanti” (pdf).
Inoltre, per rafforzare la capacità di pianificazione e gestione dei PUMS, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha organizzato anche una formazione, finanziata dalla DG REFORM nell’ambito del progetto Italy on the Move.
Il corso si compone di 10 moduli, ciascuno della durata di 90 minuti. È gratuito e destinato solo ai rappresentanti degli enti locali e regionali e alle società/agenzie partecipate da comuni e regioni, responsabili della progettazione e gestione dei PUMS.
Invece, le registrazioni delle lezioni sono disponibili sul canale youtube del Ministero per essere riviste da tutti gli interessati.
Durante il secondo modulo formativo dal titolo “Linee guida operative per la progettazione dei PUMS” (registrazione), Massimo Marciani, Presidente di Fit Consulting – società che si occupa di mobilità sostenibile – ha parlato dei principali fattori che rallentano la diffusione dei PUMS in Italia e ha presentato alcune buone pratiche di PUMS replicabili.
Gli ostacoli dei PUMS in Italia
Tra i principali elementi che ostacolano la realizzazione dei PUMS in Italia – racconta il Presidente di Fit Consulting – c’è la gelosia nella condivisione dei dati, anche fra aziende pubbliche.
C’è la necessità di aggiornare infrastrutture obsolete per integrarle con le tecnologie più avanzate, come la digitalizzazione e i sistemi di gestione dei dati. Per esempio, ci sono Comuni con telecamere ormai superate che non consentono la lettura dell’OCR (il riconoscimento ottico dei caratteri) oppure la lettura di transito, impedendo quindi la raccolta dei dati. Questi investimenti dovrebbero essere fatti dal Comune.
Altro ostacolo, dice Marciani, è la frammentazione tra i vari settori (mobilità, trasporti, ambiente, ecc.): il più delle volte all’interno di uno stesso comune i settori non comunicano tra di loro, complicando l’adozione di un approccio integrato, necessario per redigere un PUMS.
Infine, spesso mancano all’interno della pubblica amministrazione risorse umane con competenze tecniche adeguate a gestire e attuare soluzioni complesse di mobilità sostenibile. Questa situazione si incontra soprattutto nelle città medio-piccole (vedi Mobilità sostenibile nei piccoli comuni: le criticità dei bandi regionali).
Per esempio, la scarsa conoscenza della lingua inglese è una limitazione perché complica la comprensione di molti documenti sui PUMS scritti a scala europea.
Buone pratiche di PUMS italiani
Durante l’intervento di Marciani, si è fatto riferimento anche a otto PUMS italiani considerati innovativi perché hanno delle particolarità che li distinguono dagli altri.
Si è parlato del PUMS di Roma Capitale, per il quale sono stati utilizzati i dati FCD (floating car data), ovvero i dati raccolti con le scatole nere a bordo dei veicoli, distribuite dalle principali compagnie di assicurazione. Aggregando i dati, per evitare la tracciabilità della singola persona, sono state create le linee di desiderio della città, cioè le tratte in cui i mezzi si spostano maggiormente.
Fa notare Marciani che questo campione è comunque auto-selezionato, perché generalmente rappresenta solo i veicoli più nuovi e solo le persone che sono disponibili a dimostrare che guidano in maniera corretta.
Il PUMS dell’area Metropolitana di Bologna è interessante perché ha inserito tra le misure, l’istituzione di “Bologna città 30”, che ha fatto registrare un calo di incidenti, feriti e decessi.
Il Piano del comune di Parma invece è un buon esempio per le città di dimensioni ridotte. È stato adottato già nel 2017 e la sua particolarità è che aggiorna le misure periodicamente.
Le modifiche vengono fatte non solo per gli eventuali miglioramenti del trasporto pubblico (es. dopo la creazione di un sistema di trasporto più rapido o di nuove linee), ma anche perché la composizione della città cambia nel tempo (es. l’aumento degli studenti universitari richiede necessità di mobilità diverse).
L’ultimo esempio italiano presentato da Marciani è quello del comune di Siracusa, in cui c’è Ortigia, una piccola area a forte vocazione turistica dove il canale commerciale Ho.Re.Ca. (alberghi, ristoranti e catering) fa pressione sulla logistica urbana delle merci, per la distribuzione di cibi, bevande e servizi.
L’amministrazione comunale siracusana si è impegnata in modo particolare nella predisposizione di un Piano Urbano della Logistica Sostenibile (PULS), per definire le misure più adeguate a fronteggiare i picchi stagionali nelle aree con elevati flussi turistici.
Buone pratiche di PUMS dall’Europa
Per quanto riguarda le buone pratiche dall’Europa, si è ha citato il PUMS di Copenaghen, prima città ad adottare un approccio di governance collaborativa, coinvolgendo le parti interessate di diversi settori, tra cui le autorità dei trasporti, i fornitori di mobilità privata (es. Uber) e i gruppi di cittadini.
Helsinki invece è stata una delle prime città a utilizzare gli open data; nell’ambito dell’adozione del suo PUMS ha infatti costituito una piattaforma centralizzata in cui tutti gli operatori del trasporto pubblico devono fornire, non per forza gratuitamente, i loro dati. Si tratta di dati quantitativi e statistici che riguardano per esempio la densità del traffico, le emissioni e l’utilizzo dei trasporti pubblici.
Barcellona si distingue per aver cominciato a utilizzare l’intelligenza artificiale per analizzare i comportamenti dei cittadini sulla base dei dati dei telefoni in tempo reale: attraverso la densità delle sim presente in piccole zone di città, si rilevano eventuali problemi di mobilità (es. la congestione del traffico).
Partendo dall’input, l’Intelligenza Artificiale elabora i dati e li invia alla centrale del traffico, che attiva dei sistemi di mobilità flessibili per risolvere il problema nell’immediato, o a volte anche anticipando situazioni di criticità, evitando così di aspettare i rilevamenti delle telecamere oppure le telefonate dei cittadini che segnalano un disservizio.
La città greca di Salonicco ha sviluppato un Living Lab, esperienza interessante da replicare perché generalmente coinvolge una Università: il comune fa un accordo con un dipartimento, chiedendogli di organizzare degli incontri tecnici su argomenti specifici, in cui anche cittadini e amministratori pubblici condividono il loro punto di vista.
In Italia questa iniziativa è ancora poco utilizzata. Sui temi della logistica lo ha fatto per esempio Roma con l’Università di Roma Tre (Living Lab Logistica), e il comune di Milano con il Politecnico di Milano. I casi italiani sono ancora improntati nell’“utilizzare” le conoscenze degli enti di ricerca e non includendo quella collaborazione che caratterizza il concetto di Living Lab.