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“Le trappole del clima”, un saggio di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli

Il volume “Le trappole del clima. E come evitarle” di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli (Edizioni Ambiente) dedicato alla complessa sfida alla crisi climatica che l’umanità si prepara ad affrontare: le trappole lungo il percorso e come superarle. Online l'introduzione al saggio.

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La crisi cui ci troviamo di fronte, ormai in evidente accelerazione, non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica, provocata da un modello di sviluppo distorto che sta mettendo a rischio i limiti di sicurezza per la sopravvivenza della società umana.

È possibile impedire che le temperature raggiungano valori tali da rendere le conseguenze irreversibili?

Il saggio “Le trappole del clima. E come evitarle” di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli (Edizioni Ambiente), accompagna il lettore attraverso le mutevoli sfaccettature di un processo di trasformazione che, per realizzarsi pienamente, deve coinvolgere tutti, superando le disuguaglianze tra ricchi e poveri.

Agroecologia, energie rinnovabili e nuove tecnologie, mobilità elettrica e condivisa, economia circolare, decarbonizzazione ed efficienza energetica sono gli elementi del passaggio a una società sostenibile e rispettosa dell’ambiente, che non sarà completo fin quando non investirà anche i nostri stili di vita e di consumo.

Attraverso una lucida analisi guidata da un “pessimismo dell’intelligenza”, proporzionato alla complessità della sfida che l’umanità si prepara ad affrontare, gli autori segnalano una serie di trappole lungo il percorso e indicano i modi per superarle, stimolando così riflessioni che rafforzino quell’“ottimismo della volontà” che rappresenta l’unico strumento in grado di avviare la spinta collettiva indispensabile per contrastare l’emergenza climatica.

Le trappole del clima. E come evitarle

di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli

Edizioni Ambiente, febbraio 2020, pp. 194 (disponibile anche in formato ebook)

 

Pubblichiamo qui la Premessa al saggio di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli

Il pessimismo dell’intelligenza

Gli incendi che nel 2019 hanno devastato l’Amazzonia, certamente non illuminano il mondo d’immenso e rendono ancor più attuale l’invito al pessimismo dell’intelligenza e all’ottimismo della volontà, come bussole con cui orientarsi nelle situazioni particolarmente difficili. Invito formulato dal Nobel per la letteratura Romain Rolland e non, come si crede, da Gramsci che citando la fonte lo utilizzò per la prima volta in un editoriale del 1920, pubblicato su L’Ordine Nuovo.

Questo richiamo non trova più posto in un contesto nazionale e internazionale dove tende a prevalere chi, all’opposto, propaganda soluzioni semplici a problemi complessi, che quindi non richiedono l’impegno e la partecipazione dei cittadini: basta lasciar fare al capo (è questa l’essenza del populismo).

Valido sempre, il monito di Rolland-Gramsci non può essere disatteso, se si intende risolvere i numerosi e complessi problemi posti dalla crisi climatica in tempi obbligatoriamente ristretti. Occorre infatti impedire che la temperatura del pianeta arrivi a valori tali da rendere irreversibili fenomeni (come la fusione delle calotte polari) che continuerebbero a far crescere il riscaldamento globale anche se non emettessimo più gas climalteranti.

Di fronte a prospettive così drammatiche, il pessimismo dell’intelligenza affronta i problemi prendendo in considerazione l’ipotesi più gravosa tra le diverse sul tappeto che, proprio per questo, richiede di coinvolge re al massimo livello il maggior numero possibile di persone. Se invece, per timore di scoraggiare i propri interlocutori, si presentassero in modo riduttivo i problemi da risolvere, la loro volontà sarebbe meno sollecitata, aumentando il rischio di demoralizzarli, perché non si è riusciti a trovare una soluzione adeguata.

L’iniziale ottimismo dell’intelligenza porta al pessimismo della volontà. Se vogliamo che la straordinaria mobilitazione per il clima degli studenti in diverse parti del mondo (Fridays for Future), innescata dalla solitaria determinazione di Greta Thunberg, conservi l’iniziale ottimismo della volontà, occorre quindi aiutarli a esercitare anche il pessimismo dell’intelligenza.

Persino tra chi, preso lucidamente atto della deriva climatica, ha deciso di impegnarsi per ottenere le trasformazioni necessarie per contrastarla, il pessimismo dell’intelligenza ha troppo spesso sovranità limitata. Raramente vengono infatti presi nella dovuta considerazione i problemi creati dalle perturbazioni dell’attuale assetto economico e sociale durante la transizione a un modello di sviluppo diverso.

Si è così creata una situazione surreale, in cui forte è l’impegno per mobilitare i cittadini, illustrando loro i rischi che incombono sulla popolazione del pianeta e le possibili soluzioni per evitarli, mentre difettano analisi sufficientemente approfondite sulle possibili conseguenze di tali scelte.

Per essere convincenti, occorre essere capaci di rispondere alle preoccupazioni di chi teme che le trasformazioni richieste per contrastare il cambiamento climatico possano comportare la perdita del posto di lavoro o colpire i propri interessi economici. Non possiamo infatti prendere sottogamba nemmeno il punto di vista di una parte minoritaria dei cittadini, ma più influente della media, la quale ha investito in attività che non potranno avere cittadinanza a transizione completata, nonché dei gruppi dirigenti chiamati oggi a gestirle; o di quanti vivono la stessa condizione a monte, nelle forniture a tali attività e a valle, nella catena di commercializzazione dei loro prodotti. Ne sono esempi emblematici la filiera dell’auto e del petrolio.

Avere troppo a lungo trascurato l’elaborazione di risposte razionali a questi problemi ha altresì favorito la tentazione di liquidare le resistenze degli interessi lesi, trasformando in nemico da criminalizzare chiunque le manifesti. Questa tendenza, per fortuna ancora minoritaria, potrebbe diffondersi se le resistenze al cambiamento dovessero aumentare, esito inevitabile in assenza di un governo della transizione che se ne faccia carico.

Convinti della necessità di porre fine a questa dicotomia, favorendo soluzioni coerenti sul piano sia sociale ed economico, sia ambientale, che rimuoverebbero l’ostacolo maggiore a un cammino spedito verso lo sviluppo sostenibile, abbiamo deciso di utilizzare il pessimismo di cui le nostre intelligenze sono capaci per contribuire a mettere in evidenza come tra il cielo, dove transitano i raggi del sole diretti al nostro pianeta e la terra, dove cresce la produzione di gas che intrappolandone il calore la riscaldano, esistono più cose di quante la filosofia ambientalista, se non guarda oltre se stessa, sappia spiegare.

Pessimisti sì, ma proprio per stimolare riflessioni che potenzino l’ottimismo della volontà, unico strumento per realizzare una spinta collettiva in grado di contrastare la crisi climatica.

Abbiamo scritto questo libro proprio per individuare come coniugare in modo vincente pessimismo intellettuale e ottimismo nell’azione.

Sommario del libro

Premessa
1. Un buco nel cielo
2. Un mondo di plastica
3. L’effetto serra
4. Tutte le risposte alla crisi climatica
5. Un processo di decarbonizzazione problematico
6. L’ambiguità della parola sviluppo
7. Chi rema contro
8. Il valore della sobrietà
9. Le condizioni per un diverso modello economico e sociale
10. Cosa potrebbe accadere
11. Il rischio dell’autoritarismo
Conclusione

 

articolo pubblicato originariamente il 12 marzo 2020

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