Il manifesto dei Laburisti britannici e la spallata “verde” contro le destre

  • 25 Novembre 2019

Così il partito di Jeremy Corbyn prova a combattere la politica liberista e anti-Ue di Boris Johnson. Il nuovo manifesto del Labour Party in sintesi.

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Con le spallate “verdi” si può combattere il populismo di destra, che spesso è un nemico delle politiche per il clima?

La domanda torna alla ribalta con la pubblicazione del nuovo manifesto laburista inglese in cui Jeremy Corbyn, leader del Labour Party, ha condensato l’agenda politica più di sinistra che la Gran Bretagna ricordi, tutta incentrata sul ruolo dello Stato contro il puro mercato e l’anti-europeismo dei conservatori guidati da Boris Johnson.

Nazionalizzare tutto

Si parla, infatti, di nazionalizzare tutti i settori e i servizi-chiave dell’economia del Regno Unito, come le ferrovie, le poste, l’acqua, l’energia, le reti di distribuzione elettrica. Vedremo alle prossime elezioni generali del 12 dicembre se il programma laburista avrà fatto presa tra gli inglesi.

Rinegoziare la Brexit è uno dei cardini del manifesto.

Il partito laburista vorrebbe definire un nuovo accordo in grado di tutelare, si legge nel documento, i posti di lavoro e l’ambiente; dopodiché vorrebbe sottoporre l’accordo agli elettori con un nuovo referendum, un “final-say referendum” legalmente vincolante, che contempli anche la possibilità di scegliere di rimanere nell’Unione europea.

Verso una rivoluzione industriale verde

Poi un intero capitolo del manifesto è dedicato alla “rivoluzione industriale verde” che dovrebbe coinvolgere ogni aspetto dell’economia britannica.

In particolare, Corbyn intende creare un National Transformation Fund da 400 miliardi di sterline riscrivendo le regole del Tesoro, in modo da assicurare che ogni penny speso sia compatibile con i traguardi ambientali del suo manifesto.

Inoltre, Corbyn vorrebbe incorporare gli impatti climatici e i costi del “non agire” nelle decisioni d’investimento e nelle politiche fiscali.

E 250 miliardi di sterline dovrebbero andare al Green Transformation Fund per finanziare le energie rinnovabili, la mobilità a basse emissioni inquinanti, la tutela ambientale e della biodiversità.

Più in dettaglio, il partito laburista punta al 90% di elettricità e al 50% di energia termica da fonti rinnovabili nel 2030, costruendo 7.000 nuove turbine eoliche offshore oltre a 2.000 pale eoliche sulla terraferma e così tanti pannelli solari da poter coprire 22.000 campi da calcio…

Senza tralasciare il nucleare considerato “necessario per la sicurezza energetica” (però vedi qui le critiche al progetto della centrale di Hinkley Point che produrrà energia a costi esorbitanti rispetto alle rinnovabili), così come gli investimenti per abbassare i costi di produzione dell’idrogeno pulito.

Si parla poi di riqualificare dal punto di vista energetico quasi tutte le abitazioni inglesi, tassare i profitti delle compagnie petrolifere e creare almeno un milione di nuovi posti di lavoro grazie alla rivoluzione green, sviluppare le reti di ricarica per i veicoli elettrici, promuovere i trasporti su ferro, incentivare gli spostamenti a piedi e in bici nei centri urbani.

Green New Deal nel resto del mondo

In altri paesi i partiti democratici hanno già provato a lanciare proposte molto ambiziose di Green New Deal per trasformare radicalmente il mix energetico verso il 100% di fonti rinnovabili, puntando alla diffusione su vasta scala delle tecnologie pulite in tutti i settori, dai trasporti alle industrie, passando per le città, gli edifici, la produzione di elettricità.

Parliamo, ad esempio, dei programmi su energia e ambiente promossi da Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders negli Stati Uniti, contro Donald Trump e la sua volontà di uscire dall’accordo di Parigi sul clima.

Oppure del piano tedesco per l’azione climatica al 2030 varato dalla coalizione CDU/CSU con i socialdemocratici, in un paese che nelle ultime elezioni europee ha visto il boom dei verdi con il 20% dei voti, ma anche la forte presenza del partito di ultra-destra euroscettico Afd (Alternative für Deutschland).

E c’è anche il Green New Deal italiano su cui sta lavorando il governo Conte-bis.

Tutti questi programmi hanno dei punti deboli che li espongono alle critiche: alcuni, specie quelli dei democratici Usa, sono accusati di essere troppo vaghi e quasi utopistici, altri invece, anche se scendono più in profondità con misure/norme concrete, rischiano di essere poco incisivi.

In Germania, in particolare, varie associazioni di settore hanno sostenuto che il piano non consentirà al paese di raggiungere il 65% di rinnovabili nel 2030 come preventivato dal governo.

Pure in Italia le difficoltà abbondano, come ha confermato la diatriba sull’emendamento che prevedeva di tagliare i sussidi dannosi per l’ambiente, sparito dal disegno di legge per la conversione del DL Clima.

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