Perché fare nuovo nucleare è una scelta che non paga

Extra costi e ritardi anche per il progetto di Hinkley Point C in Gran Bretagna. Intanto le fonti rinnovabili sono sempre più competitive.

ADV
image_pdfimage_print

Ritardi, problemi tecnici e spese aggiuntive continuano a rallentare la costruzione di nuove centrali nucleari.

In Gran Bretagna il progetto di Hinkley Point C sta fronteggiando alcuni intoppi, come evidenzia una nota di EDF sullo stato di avanzamento dei lavori. In particolare, il colosso energetico francese scrive che completare l’impianto nel Somerset costerà 2-3 miliardi di sterline in più in confronto alle stime iniziali.

In totale quindi serviranno tra 21,5-22,5 miliardi di sterline.

Tra le ragioni dell’incremento dei costi complessivi, EDF cita le difficili condizioni del terreno, che hanno reso le opere a terra più dispendiose.

L’obiettivo resta quello di cominciare a produrre energia con la prima unità entro la fine del 2025; ricordiamo che il progetto di Hinkley Point C prevede due reattori EPR (European Pressurized Reactor) con una potenza totale di 3.200 MW.

Intanto a luglio anche il “nuovo” nucleare in Francia e Finlandia era andato in crisi per l’ennesima volta, con l’annuncio di extra-costi e inconvenienti di vario tipo nei cantieri di Flamanville e Olkiluoto.

A Flamanville, in particolare, l’Autorità francese per la sicurezza nucleare aveva riscontrato delle saldature difettose su alcuni componenti degli impianti. Finora l’investimento stimato per costruire il reattore è già lievitato sopra dieci miliardi di euro, dai circa 3,3 iniziali.

Inoltre, il nucleare di prossima generazione sta diventando sempre meno conveniente rispetto alle fonti rinnovabili, comprese quelle più costose e complesse da realizzare.

Parliamo ad esempio dell’eolico offshore: già nel 2017 alcuni progetti assegnati tramite aste competitive erano scesi sotto 60 sterline per MWh, mentre Hinkley Point C venderà energia a 92,50 sterline/MWh per 35 anni, secondo gli accordi siglati con il governo britannico.

E l’eolico offshore nei giorni scorsi ha segnato altri ribassi nell’ultima asta inglese per le rinnovabili, perché il prezzo più basso è sceso sotto 40 sterline per MWh quindi il 30% in meno in confronto all’esito della gara precedente del 2017.

In totale, informa una nota del governo inglese, l’asta ha premiato sei progetti di eolico in mare per una capacità cumulativa di 5,5 GW.

Gli impianti entreranno in esercizio tra 2023 e 2025 e riceveranno il supporto previsto dai contratti per differenza (CfD: Contracts for Difference): in pratica, se il prezzo medio dell’energia venduta sul mercato elettrico scende sotto il prezzo aggiudicato nell’asta (strike price), l’operatore del parco eolico riceve un pagamento per coprire la differenza (top-up payment).

Al contrario, se l’operatore vende l’energia a un prezzo superiore allo strike price, dovrà a sua volta pagare la differenza alla società del governo che gestisce questi contratti.

Tornando al nucleare, è appena uscito il rapporto annuale curato dal consulente indipendente Mycle Schneider, The World Nuclear Industry Status Report 2019 (allegato in basso).

Il documento evidenzia che l’atomo non può contribuire alla rapida de-carbonizzazione del mix energetico, soprattutto a causa dei tempi troppo lunghi e delle spese eccessive per costruire nuovi impianti.

Una nota di sintesi spiega che (traduzioni nostre dall’inglese, con neretti) “l’energia nucleare è un’opzione più costosa e più lenta da sviluppare, in confronto alle alternative [il riferimento è alle energie rinnovabili], quindi non è efficace nello sforzo di combattere l’emergenza climatica, anzi è controproducente, perché distoglie gli investimenti da scelte più adeguate”.

Così Schneider conclude: “Puoi spendere un dollaro, un euro, un fiorino o un rublo solo una volta: l’emergenza climatica richiede che le decisioni d’investimento debbano favorire le strategie di risposta più rapide ed economiche. La scelta nucleare si è rivelata quella più dispendiosa e più lenta”.

Di recente anche Mark Z. Jacobson della Stanford University, tra i maggiori sostenitori della necessità di sviluppare un mix energetico fatto al 100% di rinnovabili, ha dedicato un’ampia critica all’utilizzo del nucleare, affermando che investire nell’atomo è anacronistico per diverse ragioni: non solo i tempi lunghissimi di costruzione e i costi molto più elevati in confronto alle rinnovabili, ma anche i problemi di sicurezza/smaltimento delle scorie.

Il seguente documento è riservato agli abbonati a QualEnergia.it PRO:

Prova gratis il servizio per 10 giorni o abbonati subito a QualEnergia.it PRO

ADV
×
0
    0
    Carrello
    Il tuo carrello è vuotoRitorna agli abbonamenti
    Privacy Policy Cookie Policy