Usa “fuori dagli accordi di Parigi”, perché la partita è ancora tutta da giocare

Ieri l'annuncio ufficiale, ma l’uscita non potrà avvenire prima del 4 novembre 2020, il giorno successivo alle prossime elezioni Usa.

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Dentro, fuori, forse di nuovo dentro ma senza esserne mai usciti, fuori… il “balletto” americano sull’adesione agli obiettivi internazionali per il clima ha compiuto un altro passo con l’annuncio ufficiale del segretario di Stato Usa, Michael R. Pompeo (traduzione nostra dall’inglese con neretti): “Oggi [lunedì 4 novembre, ndr] gli Stati Uniti hanno iniziato il procedimento per uscire dagli accordi di Parigi”.

La Casa Bianca, infatti, si legge nella nota del segretario di Stato, ha inviato alle Nazioni Unite la lettera che notifica l’intenzione di abbandonare ufficialmente l’intesa siglata nella capitale francese nel 2015 e poi ratificata da Barack Obama nel 2016.

Nella nota, poi, si ricorda che Donald Trump aveva dichiarato per la prima volta di voler portare l’America fuori degli accordi parigini in un discorso del primo giugno 2017.

E gli argomenti che secondo l’amministrazione repubblicana sostengono questa decisione sono sempre gli stessi, in particolare “l’ingiusto carico economico” (unfair economic burden) imposto agli Stati Uniti dal patto climatico firmato in Francia.

Trump quindi finisce per battere sui soliti temi, tra cui le minacce alla competitività delle industrie americane qualora il paese dovesse seguire norme ambientali più severe per ridurre l’uso di carburanti fossili.

La nota poi precisa che gli Stati Uniti continueranno a collaborare con i loro partner globali per migliorare la capacità di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e rispondere agli effetti dei disastri naturali.

Tuttavia, in base ai termini di preavviso dell’accordo parigino, l’uscita americana potrà avvenire non prima del 4 novembre 2020 cioè il giorno successivo alle prossime elezioni presidenziali Usa.

In sostanza, tutto è da vedere, in primo luogo se Trump otterrà un secondo mandato e quindi potrà davvero proseguire la sua campagna ideologica pro-fonti fossili.

Poi, negli Stati Uniti sta crescendo la consapevolezza che è necessario agire in fretta per combattere il surriscaldamento globale, sia a livello politico federale e locale, sia tra gli imprenditori e i cittadini, come confermano gli impegni già presi da molti Stati per arrivare al 100% di energie rinnovabili verso la metà del secolo e la campagna democratica per lanciare un Green New Deal, prima con la proposta avanzata dalla giovane socialista Alexandria Ocasio-Cortez (poi eletta alla Camera Usa) in coppia con il senatore Ed Markey, in seguito con quella presentata dal senatore Bernie Sanders.

Quest’ultima prevede, ad esempio, di eliminare tutti i sussidi ai combustibili fossili e di investire massicciamente nelle fonti rinnovabili, nell’accumulo energetico e nella creazione di una super-rete elettrica intelligente e digitalizzata, rifiutando altresì di ricorrere a soluzioni come il CCS (Carbon Capture and Storage, cioè il sequestro della CO2), il nucleare e la geo-ingegneria per rimuovere il carbonio dall’atmosfera.

Insomma il quadro è molto più dinamico e fluido di quanto sia disposto ad ammettere lo stesso Trump, nella sua anacronistica crociata per difendere il carbone e il gas da scisto con una girandola di fake news tipo quella sull’eolico che causa il cancro.

A quelle bufale aveva prontamente risposto anche l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, annunciando l’iniziativa Beyond Carbon per investire centinaia di milioni di dollari nelle energie pulite.

La partita del dentro-fuori Parigi, in definitiva, resta tutta da giocare.

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