Il CCS a Ravenna è fuori dal Piano di ripresa, ma che ci fa Eni al G20?

Le polemiche sul ruolo del cane a sei zampe nell'influenzare la transizione energetica italiana.

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Continua a suscitare polemiche il ruolo di Eni nella transizione energetica.

Il casus belli è stato l’inserimento, in una bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), di progetti Eni per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS: carbon capture and storage) e per presunte bioraffinerie a Ravenna.

Quella mossa aveva rilanciato le critiche delle associazioni ambientaliste sulle pressioni lobbistiche del colosso energetico italiano – di cui, ricordiamo, lo Stato controlla il 30% delle azioni – volte a favorire l’industria fossile a scapito dei progetti in fonti rinnovabili ed efficienza energetica.

Ora che i progetti del CCS a Ravenna sono stati eliminati dalla versione definitiva del Pnrr, le reazioni sono state discordanti.

Da una parte i sindacati (neretti nostri in tutte le citazioni), con il segretario generale della Filctem-Cgil, Marco Falcinelli che ha parlato di scelta “autolesionista”, perché il progetto “va esattamente nella direzione delle politiche energetiche sul Green New Deal europeo” e pertanto “avrebbe contribuito a raggiungere gli obiettivi di abbattimento e azzeramento al 2050 delle emissioni climalteranti”.

Dall’altra parte gli ambientalisti, come ad esempio Greenpeace che “apprezza la correzione di rotta e auspica che simili progetti non riemergano in una fase più avanzata”. Di conseguenza, aggiunge Greenpeace, “continueremo a chiedere a Eni di abbandonare gli investimenti per l’estrazione di idrocarburi e investire davvero nelle rinnovabili, tanto decantate nei suoi slogan, alle quali vanno invece solo le briciole”.

Ricordiamo che la tecnologia CCS è controversa.

Assorbire l’anidride carbonica emessa dagli impianti industriali per stoccarla nel sottosuolo è molto costoso e inoltre questa tecnologia non ha ancora dimostrato la sua efficacia né la capacità di raggiungere economie di scala per ridurre gli ingenti investimenti iniziali, tanto che i progetti di questo tipo si sono arenati in tutto il mondo.

Per un approfondimento si veda l’articolo Catturare la CO2 per salvare il clima: chi ci scommette ancora?

Il dubbio adesso è che la scommessa di Eni sul CCS, uscita dalla porta del Recovery Plan, possa rientrare da qualche finestra.

Italia Solare ha inviato una lettera al premier, Giuseppe Conte, esprimendo forte perplessità sulla decisione di affidare, tra gli altri, a un manager di Eni e un dirigente di Confindustria la discussione preparatoria per il G20 che si terrà a Roma a ottobre.

Secondo Italia Solare – si legge in una nota – “delegare a rappresentanti di Eni e di Confindustria, di cui per altro Eni fa parte, la discussione di temi nei quali la riduzione delle emissioni di CO2 è un punto centrale, appare un controsenso e un evidente modo di presidiare un tavolo che potrebbe prendere decisioni drastiche sulle riduzioni di emissioni”.

La presenza di Eni e Confindustria, afferma Italia Solare, “fa emergere con chiarezza un evidente conflitto di interessi tra la necessità di un’accelerazione della transizione energetica e l’obiettivo di parte dell’industria italiana e di Eni in particolare di difendere gli interessi economici di chi […] non ha ancora mostrato un reale cambio di passo rispetto alla ricerca, al trattamento e al consumo di combustibili fossili”.

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