Piano nazionale di ripresa e resilienza: non ci siamo

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) approvato in versione definitiva è peggiore delle bozze. Meno green e più vecchio.

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È un PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che non cambia pelle rispetto alle bozze precedenti ma che la muta, ancora, in peggio. Calano, infatti, le risorse per il green e rimane l’agglomerato precedente nel quale si trovavano una serie di progetti d’ordinaria amministrazione, slegati tra di loro e con ben poca innovazione.

Manca la visione del futur”, afferma a caldo il presidente del Coordinamento FREE, Livio de Santoli, che aggiunge “se nella prima bozza del PNRR mancava una visione complessiva in grado di orientare la destinazione dei fondi per il rilancio dell’economia, per uno sviluppo industriale e per un concreto cambio di rotta nel settore ambientale, sociale, territoriale, questa mancanza ora si accentua”.

La prova di ciò sta nelle cifre che sono assegnate ai progetti in essere rispetto a quelli in divenire. In totale sono 65,7 miliardi di euro di progetti in essere contro i 144,2 di quelli da attivare, ma entrando nei capitoli cruciali per lo sviluppo del paese questa percentuale aumenta.

La rivoluzione verde e transizione ecologica vede 30,16 miliardi di euro in essere contro i 36,43 miliardi di futuri impegni e l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici ha 16,36 miliardi in essere contro i 12,68 futuri con una sforbiciata non indifferente visto che complessivamente ora siamo a 29 miliardi, contro i 40 della prima bozza. E anche sulla tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica siamo a 10,85 in essere contro i 3,97 in divenire.

Obiettivi di fumo

Per quanto riguarda gli obiettivi tutto è ancora più fumoso. Se nella prima bozza dei primi di dicembre, infatti, ci si scandalizzava perché si trovavano delle voci con valori incoerenti e approssimativi circa i finanziamenti al green, con oltretutto una serie di stime in via di perfezionamento per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 conseguenti ai provvedimenti, ora chi si preoccupa del clima può dormire sonni tranquilli, visto che queste tabelle sulla CO2 sono sparite.

Se a dicembre i dati assenti significavano che tre mesi non erano bastati al Governo per fare una stima della CO2 evitabile, cosa che dopo trent’anni di accordi sul clima dovrebbe essere un automatismo, ora si può prendere atto che sulla questione climatica il Governo non possiede strumenti previsionali.

Ciò non depone a favore di una revisione in senso ambizioso del Pniec. E anche il dato previsionale del Pil è deludente. A fronte di un’iniezione complessiva di ben 222,9 miliardi nei prossimi anni, corrispondenti a 14 punti di Pil, la previsione di aumento del Prodotto Interno Lordo al 2026 è di soli tre punti.

Innovazione mancata

“A parte la visione, manca l’innovazione e gli esempi sono molti nel testo” prosegue Livio de Santoli. “Si ignora il tema dell’innovazione nello sviluppo delle fonti rinnovabili sul nodo cruciale della loro localizzazione, che non può essere risolto solo proponendo, nella sezione ‘Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile’, di realizzarli ‘in misura importante tramite lo sviluppo di parchi eolici e fotovoltaici offshore’. Le rinnovabili sono date per scontate, come se non avessero problemi, come se non ci fossero obiettivi importanti da raggiungere nei prossimi dieci anni assolutamente impensabili in mancanza di semplificazione autorizzativa e di sviluppo industriale”.

E di queste mancanze sono convinti anche a MOTUS-E, l’associazione per lo sviluppo della mobilità elettrica che propone una visione sostenibile della mobilità, da raggiungere con 15 nuove misure per un totale di 18,7 miliardi da rimodulare all’interno dello schema del PNRR.

“Le misure green dell’attuale piano, infatti, risultano poco ambiziose ed efficaci dal punto di vista dei principi ispiratori del Next Generation EU – afferma il segretario generale di MOTUS-E Dino Marcozzi – con le nostre proposte, vogliamo cogliere l’opportunità offerta dalla mobilità elettrica e dare la giusta spinta al nostro Paese”.

Economia interrotta

Sull’economia circolare ci si potrebbe aspettare un colpo di reni e d’innovazione fatto magari con la creazione di piattaforme di ricerca e sviluppo che consentano alle Pmi italiane di competere con i colossi esteri nello sviluppo di nuovi prodotti, oppure creando strumenti che facilitino la simbiosi industriale tra filiere diverse.

E invece: “per incrementare il tasso di circolarità in Italia vengono proposti interventi per la realizzazione di impianti di trasformazione dei rifiuti finalizzati al loro recupero, partendo in particolare dai rifiuti da raccolta differenziata“, si legge nel documento.

Impianti per il riciclo, quindi, un’esigenza di sviluppo e innovazione che nasce da oltre un decennio, resa urgente dalla latitanza della pubblica amministrazione sull’argomento. Il tutto condito con frasi generiche. A titolo d’esempio prendiamo, infatti, il seguito del paragrafo sull’economia circolare che prosegue: “La strategia sull’economia circolare interviene su un processo lungo e complesso teso a rendere l’Italia meno dipendente dall’approvvigionamento di materie prime e conseguentemente più forte e competitiva sui mercati internazionali“.

Mobilità ed energia

Il capitolo ‘Infrastrutture per una mobilità sostenibile’ punta sulla modernità e intende “realizzare un sistema infrastrutturale di mobilità moderno, digitalizzato e sostenibile dal punto di vista ambientale“, attraverso elementi come l’alta velocità e, una non meglio precisata, “manutenzione stradale 4.0“, ai quali si aggiungono “investimenti per la messa in sicurezza e il monitoraggio digitale di viadotti e ponti stradali nelle aree del territorio che presentano maggiori criticità.”

La componente “Energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile” rasenta il comico, quando recita “Un contributo rilevante (nello sviluppo delle rinnovabili, ndr) verrà dai parchi eolici e fotovoltaici offshore“. Ora che nei prossimi dieci anni il fotovoltaico offshore, ossia sul mare diventi una tecnologia matura, specialmente nel Mar Mediterraneo che proprio calmo non è, forse è un poco opinabile.

Rischioso anche il progetto di decarbonizzazione dell’ex ILVA a Taranto con l’idrogeno, che anche se sulla carta appare virtuoso, forse non tiene conto del mercato dell’acciaio che di sicuro non favorisce la siderurgia europea.

In definitiva il PNRR così strutturato è già un’occasione mancata visto che questa iniezione di finanziamenti oltre a essere straordinaria sarà anche l’ultima per decenni. Con un deficit al 2020 del 158% e l’obbligo di tornare ai livelli pre Covid-19, ossia il 135% entro il 2030, il tutto con un incremento massimo del Pil del 3% al 2026. Insomma il PNRR è l’ultima fermata per uno sviluppo sul serio innovativo, sostenibile e robusto.

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