Il greenwashing dei gestori di fondi: obiettivi net-zero ma con tante fonti fossili

Le analisi di InfluenceMap su 45 grandi società di gestione patrimoniale. Il 95% dei portafogli azionari non è allineato con gli obiettivi climatici di Parigi.

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C’è un divario molto ampio tra l’aumento delle ambizioni climatiche del mondo finanziario e la mancanza di azioni concrete nel breve termine.

La situazione resta contradditoria: chi gestisce i grandi asset finanziari in molti casi afferma di puntare verso un’economia a zero emissioni, ma poi continua a investire massicciamente nei settori delle energie fossili, in media circa il triplo rispetto agli investimenti green.

E la contraddizione si spiega con una sola parola: greenwashing. L’impegno per il clima è solo una facciata di verde, mentre i soldi vanno in buona parte altrove, a sostenere le attività legate a carbone, gas, petrolio, grandi industrie inquinanti.

Sono le principali conclusioni del nuovo studio di InfluenceMap, think tank indipendente basato a Londra, nell’ambito del suo programma FinanceMap (si veda anche Perché la finanza prende sottogamba i rischi climatici).

Secondo il rapporto Asset Managers and Climate Change 2023, i principali gestori patrimoniali del mondo sono molto lontani dal rispettare i propri impegni di zero emissioni nette entro il 2050.

Questi gestori non hanno migliorato le loro prestazioni climatiche negli ultimi due anni e addirittura, in alcuni casi, hanno invertito le tendenze positive, nonostante la maggior parte abbia fissato traguardi net-zero al 2050, attraverso iniziative come la Net Zero Asset Managers (NZAM) .

Lo studio, spiega InfluenceMap, assegna un punteggio a 45 delle maggiori società di gestione patrimoniale sulla base di tre criteri: analisi del portafoglio azionario, gestione delle società partecipate e impegno in politiche finanziarie sostenibili.

La maggior parte dei gestori finanziari, spiega il responsabile del programma FinanceMap, Daan Van Acker, “non usa la propria influenza per promuovere un cambiamento reale nelle società partecipate e nella politica finanziaria sostenibile”.

I portafogli finanziari di queste 45 società di gestione detengono complessivamente 72mila miliardi di $ di asset e continuano a essere “fortemente disallineati rispetto agli obiettivi degli accordi di Parigi”.

In particolare, il 95% dei portafogli di fondi azionari non è allineato con lo scenario Net Zero dell’Agenzia internazionale dell’energia. Nel complesso, i gestori esaminati hanno quasi il triplo di valore azionario in società dei combustibili fossili, rispetto agli investimenti in settori green.

FinanceMap, è bene precisare, identifica gli investimenti “verdi” sulla base della tassonomia dell’Ue e dei dati Bloomberg. I gestori patrimoniali più in ritardo in tema di finanza sostenibile sono quelli americani, nell’ambito di una tendenza “anti-ESG” (ESG sta per “environmental, social and governance”: i criteri per valutare la sostenibilità di un dato investimento).

I gestori europei Natixis e Schroders hanno ricevuto i punteggi più alti nel Portfolio Paris Alignment, che valuta l’allineamento degli investimenti agli accordi di Parigi.

Negli Stati Uniti, il colosso BlackRock ha registrato un calo nel punteggio di stewardship, che si riferisce alla capacità di gestire e amministrare le risorse in modo responsabile (C, in calo rispetto a B nel 2021). Mentre i portafogli azionari in Giappone rimangono tra i più disallineati rispetto ai traguardi net-zero.

Altra tendenza negativa riscontrata dallo studio, è che gli asset manager non stanno utilizzando la loro influenza a livello economico e politico per sostenere la transizione energetica in Europa e negli Stati Uniti.

Ad esempio, l’86% dei gestori patrimoniali valutati nel rapporto, è membro di almeno un gruppo industriale che si oppone alla politica finanziaria sostenibile, necessaria per decarbonizzare l’economia.

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