Il dibattito sull’utilità o inutilità del gasdotto TAP (vedi su queste pagine l’approfondimento Se il TAP non serve) è sfociato nella conclusione che sembrava scontata già da qualche settimana: l’opera si farà, l’Italia non può tirarsi indietro.
Così il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla realizzazione di un’infrastruttura considerata dannosa per l’ambiente e per i futuri investimenti in tecnologie pulite, si è dovuto arrendere alle valutazioni del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, quando ha dichiarato che “non sono emersi profili di illegittimità” dopo aver esaminato in dettaglio tutti i documenti.
Ricapitoliamo in sintesi le tappe più rilevanti dell’intera vicenda.
Innanzi tutto, è bene precisare che TAP è un’opera privata a interesse pubblico, finanziata dall’omonimo consorzio svizzero di cui fanno parte diversi investitori, tra cui l’italiana Snam, e avallata dai precedenti governi.
Lo scorso febbraio, il consorzio aveva ottenuto un prestito di 1,5 miliardi di euro dalla Banca europea per gli investimenti, poiché il gasdotto è compreso nella lista Ue dei progetti prioritari nel campo dell’energia.
Lo stato di avanzamento di TAP è intorno all’80%, con la fine dei lavori prevista nel 2020. A quella data, il gasdotto dovrebbe iniziare a trasportare il combustibile dai giacimenti azeri nel Mar Caspio fino alle coste italiane, lungo un percorso di circa 3.500 chilometri.
TAP, infatti, è solo il tratto finale dell’intero “corridoio Sud” del gas dal Medio Oriente all’Europa: 900 km di tubi attraverso la Grecia (la partenza è dal confine turco), l’Albania e il Mar Adriatico, approdando sul litorale pugliese, presso Melendugno.
La portata sarà pari a 10 miliardi di metri cubi/anno.
Il costo per l’Italia in caso di stop imposto dall’attuale governo alla costruzione del gasdotto, come ha precisato l’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, non è da attribuire alle “penali” evocate da Luigi Di Maio (il vicepremier e titolare del MiSE ha parlato di 20 miliardi), bensì alle successive richieste di risarcimento danni delle aziende coinvolte nel progetto.
Non si può parlare di penali perché non esiste un contratto firmato tra TAP e lo Stato: a pesare economicamente sarebbero i probabili contenziosi che si aprirebbero tra lo Stato e una serie di soggetti privati, tra cui il consorzio TAP, le imprese appaltatrici, gli esportatori di gas, le utility che hanno già firmato contratti venticinquennali per acquistare le forniture di combustibile.
Tra l’altro, in una nota del MiSE di fine settembre, che rispondeva ad alcune domande dei comitati pugliesi No TAP, si spiega che un eventuale annullamento del progetto potrebbe portare a “richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano […]”.
Si citano anche dei costi di abbandono (70 o 40 miliardi di euro) che sarebbero stati calcolati dalla società energetica azera SOCAR, tra le protagoniste del progetto.
Il percorso burocratico del gasdotto ha avuto diversi passaggi-chiave, tra cui la ratifica del trattato con Albania e Grecia per il via libera all’infrastruttura (era dicembre 2013 e il M5S votò contro), poi a settembre 2014 il decreto di compatibilità ambientale – con le prescrizioni da seguire – pubblicato dal ministero dell’Ambiente, infine l’autorizzazione unica rilasciata dal MiSE a maggio 2015.
Le dichiarazioni del governo M5S-Lega sul TAP negli ultimi mesi sono state conflittuali e contradditorie.
I pentastellati, dopo una campagna elettorale in cui si prometteva il blocco immediato dei cantieri del gasdotto, hanno continuato a rimarcare l’inutilità e dannosità dell’opera, con le affermazioni di Costa e del ministro per il Sud, Barbara Lezzi (vedi QualEnergia.it).
Poi però il premier Conte ha fatto un po’ di marcia indietro, durante un incontro alla Casa Bianca con il presidente Usa, Donald Trump, sostenendo che il governo era consapevole che TAP è un’opera strategica per le forniture energetiche europee-italiane.
Dando così spazio alla posizione della Lega, che su TAP non ha mai sposato la linea dura del M5S.
Nelle ultimissime settimane erano spuntate le cifre multimiliardarie dei costi per l’abbandono del progetto, quelle che hanno spinto il governo a dire di sì al gasdotto.