Si potrà avere, e quando, una fornitura di gas “verde” per la propria casa o la propria azienda?
Oggi si può scegliere di acquistare energia elettrica prodotta al 100% da fonti rinnovabili tra le tante offerte sul mercato libero, ma per quanto riguarda il gas, il discorso cambia.
Al massimo si può attivare qualche opzione per compensare le emissioni di CO2 associate all’uso di combustibile fossile (piantare alberi, ad esempio), perché le forniture di gas dalla rete sono fatte di gas tradizionale estratto da giacimenti a terra o in mare, quasi tutto importato in Italia dalla Russia e da altri paesi produttori/esportatori.
E il biometano?
Perché oggi non esiste alcuna fornitura di gas di origine rinnovabile per usi domestici e-o industriali?
Abbiamo girato la domanda a Piero Gattoni, presidente del CIB, Consorzio Italiano Biogas, per capire quali prospettive ci sono in questo settore.
“I consumatori – ci racconta Gattoni – non possono ancora avere una fornitura di biometano per usi residenziali oppure industriali perché la produzione di biogas è interamente dedicata alla produzione di energia elettrica/termica rinnovabile e al settore dei trasporti, attraverso l’upgrading in biometano [ricordiamo che il biometano si ottiene dal biogas mediante un processo di “purificazione”, ndr.]”.
In Italia, infatti, manca una misura volta a promuovere l’immissione diretta in rete del biometano per un suo utilizzo diverso dai trasporti, anche se, osserva Gattoni, “in uno scenario più ampio per decarbonizzare il sistema energetico, sicuramente bisogna prevedere un obiettivo di greening della rete gas, coerente con il percorso fatto per la rete elettrica”.
È la prospettiva di una rete capace di accogliere percentuali crescenti di gas cosiddetto “verde” o “pulito” perché prodotto da materie prime rinnovabili, come rifiuti organici, scarti agroforestali, sottoprodotti agricoli, colture di secondo raccolto non in conflitto con le colture alimentari; e si parla anche di idrogeno green con riferimento all’idrogeno prodotto da elettrolizzatori alimentati con energia elettrica rinnovabile.
Intanto, però, l’attenzione si concentra sui trasporti.
Difatti, racconta Gattoni, il primo decreto sul biometano del 2013, “prevedeva una strategia di supporto per l’immissione diretta in rete del combustibile green e il suo uso in varie attività, cioè cogenerazione, trasporto e altri usi indifferenziati”, poi però il decreto del 2018 “ha indicato una priorità di destinazione del biometano nei trasporti e, quindi, ha stabilito un sistema di incentivi rivolto unicamente a questo settore”.
Gli incentivi sono i certificati di immissione al consumo, CIC, venduti ai soggetti obbligati all’immissione in consumo di biocarburanti oppure, nel caso del biometano avanzato, ritirati dal Gestore dei servizi energetici per dieci anni a prezzo fisso.
Così il biometano oggi è immesso nella rete del gas naturale – e si sono già attivate tutte le procedure tecniche che hanno portato a definire le qualità chimico-fisiche per il biometano da immettere in rete – ma con una sola destinazione finale: i distributori di metano per autotrazione.
Il punto, ricorda il presidente del CIB, è che in Italia e in Europa “si ritiene che il biometano sia un biocarburante avanzato in grado di ridurre le emissioni dei trasporti pesanti più difficili da elettrificare, come camion, navi e macchine agricole”.
Ma il quantitativo di biometano attualmente immesso in rete in Italia è ancora molto basso: parliamo di circa 100 milioni di metri cubi l’anno su un consumo totale di metano per autotrazione di poco superiore a un miliardo di metri cubi/anno, quindi appena un 10% circa.
Va detto che il potenziale del biometano per il nostro paese è comunque molto più ampio.
Ricordiamo che lo stesso Piano nazionale su energia e clima al 2030 (PNIEC) punta a destinare ai trasporti 1,1 miliardi di metri cubi di biometano avanzato – quello ottenuto da determinate matrici di biomassa, come gli effluenti zootecnici, gli scarti agricoli e le colture di secondo raccolto – entro i prossimi dieci anni.
Più in generale, secondo le stime del CIB, il potenziale ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi producibili nel 2030, di cui almeno 6,5 provenienti dal settore agricolo e agro-industriale.
Questi 8 miliardi di mc, precisa Gattoni, sarebbero pari a circa il 12% dei consumi attuali complessivi di gas naturale in Italia, con la possibilità di arrivare a percentuali ben più elevate (20-30%) nel 2030, considerando l’effetto combinato di altri fattori: sviluppo delle fonti rinnovabili, misure di efficienza energetica e conseguente riduzione della domanda totale di gas.
E riconvertendo al biometano una parte del biogas ora impiegato per la produzione di energia elettrica, prosegue Gattoni, “già nel 2025 si potrebbero ottenere 1,5 miliardi di metri cubi in più di biometano”.
In definitiva, afferma Gattoni, “rimane una priorità di utilizzo del biometano per i trasporti, ma sarebbe importante affiancare un mercato per gli usi del biometano nelle industrie e nel residenziale, in modo da favorire una crescita costante e graduale della produzione di gas rinnovabile”.
Per farlo, poiché le norme tecniche per l’immissione del biometano in rete sono già state definite, resta da stabilire un programma di sostegno, che potrebbe essere analogo a quello sviluppato per promuovere l’energia elettrica rinnovabile.
Non resta che vedere se il governo, magari approfittando delle discussioni su come rilanciare l’economia post-Covid nell’ambito del Green Deal europeo, deciderà di puntare di più sul biometano, cogliendo il grande potenziale del settore agricolo, termina Gattoni.