Quel futuro incertissimo per le tecnologie che rimuovono la CO2

Si può catturare anidride carbonica dall'aria con la Direct Air Capture, ma è una soluzione molto costosa e lontanissima da applicazioni su vasta scala. Il nuovo commento della Iea nel dibattito tra favorevoli e contrari.

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Uno dei punti più controversi nei piani di azione per azzerare le emissioni nette di CO2 al 2050 è l’utilizzo di tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera.

Una tecnologia che viene inclusa nello scenario Net Zero dell’Agenzia internazionale dell’energia, ma non solo.

I fautori di queste tecnologie, battezzate CDR (Carbon Dioxide Removal) affermano che saranno indispensabili per raggiungere gli obiettivi climatici poiché, nonostante tutti gli sforzi per eliminare le fonti fossili dal mix energetico, ci saranno emissioni residue da alcuni settori, come ad esempio quelli provocati dalle industrie pesanti.

Chi invece è contrario o scettico, sostiene che l’idea di rimuovere la CO2 può essere una scusa per continuare a emettere gas serra, anziché aumentare concretamente gli impegni di riduzione.

In questo dibattito si inserisce un recente commento di due analisti della Iea, Sara Budinis e Luca Lo Re.

Il loro articolo, “Unlocking the potential of direct air capture: is scaling up through carbon markets possible?” si focalizza su una singola tecnologia, la DAC (Direct Air Capture), vale a dire, la “cattura” di anidride carbonica direttamente dall’aria, tramite sistemi di filtrazione.

La CO2 può essere poi stoccata, ad esempio in depositi geologici sotterranei, ed essere utilizzata per varie finalità, come per produrre carburanti sintetici di origine rinnovabile.

Per completezza, ricordiamo che ci sono altre possibili soluzioni per rimuovere la CO2, alcune delle quali basate sulla natura, come gli interventi di riforestazione.

Nel 2021 è entrato in funzione un impianto DAC della società svizzera Climeworks in Islanda, capace di “succhiare” circa 4mila tonnellate/anno di anidride carbonica dall’aria, una quantità irrisoria se pensiamo che nel 2022 le emissioni globali legate ai soli usi energetici hanno superato 36 miliardi di tonnellate.

Secondo i due analisti della Iea avremo bisogno di rimuovere con la DAC circa 70 milioni di tonnellate di CO2/anno entro il 2030, per poi balzare a circa 600 Mt/anno al 2050. Ma oggi non arriviamo a 10mila tonnellate.

A complicare le cose, ci sono i costi altissimi di questa tecnologia: si parla di 600-1.000 $ per tonnellata di CO2 rimossa, in media otto volte il costo massimo raggiunto da una tonnellata di CO2 sui mercati specifici, come l’ETS europeo (Emission Trading Scheme). Sull’ETS, ad esempio, i prezzi erano saliti per la prima volta poco sopra 100 €/ton a inizio 2023 e ora sono intorno ai 90 euro

Ecco perché siamo lontanissimi dall’avere tecnologie di cattura della CO2 realmente competitive e realizzabili su vasta scala.

In questo momento, spiegano gli autori della Iea, l’uso della Direct Air Capture è stimolato da alcune grandi compagnie private, interessate ad acquistare crediti per la rimozione della CO2 con cui soddisfare gli obiettivi climatici aziendali.

Ma parliamo di mercati volontari, auto-regolati da entità non governative. Il rischio concreto è che siano operazioni di facciata, di greenwashing: chi acquista i crediti continua le sue attività che emettono gas-serra, “coprendole” appunto con i crediti di rimozione.

Secondo Budinis e Lo Re una strada potrebbe essere quella di integrare i certificati per la rimozione della CO2 nei mercati ETS, al fine di promuovere l’adozione di tecnologie come la cattura dell’anidride carbonica. Ma è una strada complicata, per usare un eufemismo.

C’è il rischio che le aziende e le industrie usino massicciamente i certificati che attestano la rimozione della CO2, invece di applicare misure di efficienza e incrementare gli investimenti in fonti rinnovabili. Poi va stabilito come allineare i prezzi dei differenti certificati, vista l’attuale notevole differenza tra il costo per rimuovere una tonnellata di CO2 e quello dei permessi di emissione sui mercati come l’ETS.

Il succo è che conviene molto di più non emettere una tonnellata di CO2, investendo in rinnovabili ed efficienza, piuttosto che emettere quella tonnellata e poi pagare per rimuoverla, per non parlare del dispendio di energia e di risorse necessarie per sviluppare le tecnologie di rimozione.

La tortuosa strada della DAC è teoricamente percorribile ma stracolma di barriere tecniche ed economiche, assai difficili da superare, soprattutto nei tempi ragionevolmente brevi che abbiamo per affrontare la crisi climatica.

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