“Gli inverter fotovoltaici durano sicuramente più di 10 anni”.
Lo ha confermato a QualEnergia.it Andrea Brumgnach, vicepresidente di Italia Solare con delega per il settore residenziale, in risposta ad un quesito che con una certa regolarità si presenta sui forum dedicati nei social media.
“Tenendo conto che si tratta di apparecchiature di natura elettronica, potrebbero esserci pochi, rarissimi casi di mortalità infantile, che però sono coperti da garanzia”, ha aggiunto Brumgnach, che è anche a capo di Samandel, una ESCo attiva nel settore domestico con la divisione Esserenergia.
“Ho lavorato su impianti che non hanno mai avuto nessun tipo di problema e l’inverter è ancora lì dopo 15 anni. Di tutti quelli che abbiamo fatto, anche con il primo e secondo Conto Energia, la maggior parte funziona ancora bene”, gli ha fatto eco Massimo Venturelli, progettista, formatore di installatori fotovoltaici e co-fondatore dell’Associazione Tecnici Energie Rinnovabili (Ater).
Quando e quanto si rompono?
Nella maggioranza dei casi, quindi, un inverter domestico di buona qualità non dovrà essere cambiato al 10° anno, come invece spesso si sentiva dire in passato. Ma, pur rappresentando una minoranza dei casi, è possibile quantificare la quota di inverter che, invece, potrebbe cominciare a presentare qualche problema dopo un certo periodo?
“Statisticamente, abbiamo un 30-40% che comincia ad avere dei problemi, dopo i 10 anni”, ha specificato Venturelli a QualEnergia.it.
“Ci sono alcuni inverter che dopo 13-14 anni si romperanno sicuramente, ma erano anche stati progettati per non superare questo limite, comunque piuttosto lungo”, ha aggiunto il fondatore di Ater, sottolineando che il fenomeno riguarda soprattutto gli inverter di fascia medio-bassa.
La possibilità di dover cambiare l’inverter può diventare una necessità, per esempio, nel caso dei piccoli impianti trifase, quelli da 6 a 9 kWp. Ciò in quanto, qualche anno fa, gli inverter trifase di piccola taglia erano inesistenti o quasi, poiché molti produttori offrivano modelli trifase solo a partire da almeno 12 kWp.
Questa carenza costringeva chi volesse un impianto trifase da 6 o 9 kWp a installare tre inverter monofase, rispettivamente, da 2 o 3 kW in parallelo, uno per ognuna delle tre fasi, soluzione che se da una parte spalmava il rischio di guasti su tre macchine, dall’altra, col passare degli anni, triplica anche le probabilità di malfunzionamenti del sistema.
A distanza di una decina d’anni, secondo gli installatori sentiti da QualEnergia.it, non è infrequente trovare configurazioni di questo tipo in cui solo due inverter su tre funzionano, magari di marche diverse, o anche impianti trifase da 8 kW con solo due inverter da 4 kWp.
In tutti questi casi, si creano squilibri e scompensi delle fasi in immissione, con conseguente blocco dell’impianto. Questa situazione dovrebbe risultare abbastanza evidente al proprietario, ma non sempre ciò accade in tempi rapidi, soprattutto se non si è provvisti di un sistema di monitoraggio, come capitava spesso negli impianti di più vecchia installazione.
In altri casi, nei mesi invernali, a temperature rigide, la tensione dei moduli aumenta e se una stringa è stata dimensionata con un numero di moduli elevato, nominalmente al limite della tensione di stringa, con il freddo la tensione reale può facilmente superare tale limite, provocando un blocco dell’inverter.
Oltre al blocco completo dell’inverter, si possono verificare inconvenienti meno gravi ma più “subdoli”, come il guasto di uno dei sistemi di tracciamento del punto di massima potenza (MPPT) di una stringa di un inverter multistringa. Questi guasti possono essere provocati da problemi banali come un fusibile bruciato o un cavo solare rosicchiato dai topi. In questo caso, l’inverter continua a funzionare, ma solo a metà potenza, nel caso di un sistema a due canali.
L’ideale sarebbe avere un sistema di monitoraggio che avverta la presenza di guasti, come accennato in un precedente articolo, oppure semplicemente controllare regolarmente il display dell’inverter per i valori di tensione e corrente, per verificare se ci siano differenze anomale fra i valori delle diverse stringhe.
In alcuni di questi casi, soprattutto se ripetuti nel tempo e non una tantum, quando l’inverter ha già superato 10-12 anni di vita, può aver senso una sua sostituzione.
Casi di vulnerabilità
In quanto apparecchiature elettroniche, e non meccaniche, gli inverter non hanno parti in movimento, e questo è un elemento di longevità.
Uno dei possibili punti vulnerabili è proprio uno dei pochi componenti spesso ancora meccanici all’interno dell’inverter, e cioè la ventola di raffreddamento, il cui funzionamento potrebbe essere reso meno efficace da accumuli di polvere o altri detriti, che potrebbero provocare il surriscaldamento della macchina e quindi comprometterne il funzionamento.
Per garantire una maggior durata del prodotto, e un esercizio in sicurezza, è consigliabile “mantenere le macchine pulite soprattutto nelle parti atte alla dissipazione termica. In generale si dovrebbe sempre installare gli inverter in ambienti puliti, areati ed eventualmente spostare i componenti qualora non installati correttamente”, ha detto a QualEnergia.it Rolando Roberto, Consigliere di Ater e ingegnere.
Cosa aspettarsi quando si cambia inverter
Se ci si trova in quei casi in cui l’inverter, con una certa regolarità diventa soggetto a malfunzionamenti o guasti, può valere la pena pensare a una sostituzione, visto che probabilmente la garanzia è già scaduta o, nel caso non lo fosse, anche il servizio di garanzia potrebbe non essere più attivabile, poiché magari l’azienda non esiste più, ci ha detto Leonardo Botti, Managing Director Commercial & Industrial di FIMER, che ha rilevato l’attività inverter di Abb, e prima ancora di Aurora-PowerOne.
“Questa è una situazione in cui sicuramente è importante guardare a soluzioni che possono essere disponibili sul mercato”, ha osservato Botti, come accennato in un precedente articolo.
“Le attuali macchine hanno un’efficienza maggiore rispetto a modelli di 10 anni fa, sicuramente può essere utile sostituire un inverter con il trasformatore con uno senza trasformatore laddove tecnicamente possibile”, ha detto Roberto.
I proprietari costretti a cambiare l’inverter del proprio impianto saranno ripagati da almeno un paio di vantaggi che la nuova macchina consentirà: uno immediatamente percepibile nella comunicazione e interfaccia molto più ricche dell’inverter; e uno quasi impercettibile, ma comunque significativo, e cioè il miglioramento dell’efficienza di conversione, visto che i nuovi inverter hanno ormai quasi raggiunto il limite fisico di convertibilità, oltre il quale non è possibile andare.
Il cambiamento più evidente sarà la comunicazione digitale, che permette di interagire, di ottenere informazioni, di seguire in tempo reale il funzionamento del sistema; un aspetto che una volta era possibile solo recandosi fisicamente a leggere il display dell’inverter, visto che le tecnologie di 10 anni fa non permettevano altro.
Oggi gli inverter, grazie ad una semplice app sul telefono, consentono di monitorare l’impianto anche dall’altra parte del mondo o di ricevere da parte di alcune aziende produttrici degli avvisi in caso di malfunzionamento dell’impianto.
Inoltre, già oggi, ma sempre di più in futuro, ci sarà una “fortissima integrazione” in termini di servizi, ha spiegato a QualEnergia.it Valerio Natalizia, amministratore delegato di Sma Italia e Consigliere di Italia Solare, responsabile del gruppo di lavoro Sviluppo Tecnologico e Normative.
Gli inverter non saranno più solo il cuore dell’impianto fotovoltaico, ma anche il “cervello”.
L’inverter interagirà con i sistemi di domotica della casa in maniera intelligente, utilizzando l’impianto fotovoltaico per alimentare non dei carichi casuali, ma carichi diversi in base alle disponibilità di energia e alle necessità della casa: attivando una lavatrice o la pompa di calore oppure la ricarica del veicolo elettrico, ha detto Natalizia.
In ogni caso, un criterio a cui fare sempre attenzione nella scelta di un nuovo inverter è la garanzia, che spesso una decina di anni fa era al massimo di cinque anni e che oggi arriva normalmente a 10 anni, e talvolta anche a 12, ma che, appunto, può variare da marca a marca.
Altri aspetti da verificare sono una presenza pluriennale sul mercato del produttore, segnale di affidabilità, e la disponibilità e qualità del servizio post-vendita, allorché si avrà bisogno di un intervento di riparazione, ha concluso Brumgnach.