Inverter per il fotovoltaico residenziale: quando conviene sostituirlo e quanto costa

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Costo indicativo, caratteristiche dei modelli più recenti, convenienza o meno di aggiungere anche un sistema di accumulo.

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Come abbiamo scritto in un precedente articolo, molti inverter di impianti fotovoltaici domestici installati all’epoca dei primi conti energia stanno raggiungendo i 10 anni di vita, momento in cui valutare un possibile revamping.

Vediamo adesso quando sia effettivamente necessario sostituire l’inverter, quanto costi e cosa possano attendersi i proprietari di questi piccoli impianti.

Quando non sostituire

Va sfatato innanzitutto un mito, e cioè che al raggiungimento dei 10 anni di vita sia comunque consigliabile sostituire l’inverter.

“È importante stabilire una verità che spesso negli anni è stata raccontata in maniera diversa, nel senso che l’idea di cambiare un inverter al decimo anno di vita nasce soprattutto da alcune procedure che all’interno dei business plan consideravano al decimo anno la sostituzione degli inverter”, spiega a QualEnergia.it Valerio Natalizia, amministratore delegato di Sma Italia e Consigliere di Italia Solare, responsabile del gruppo di lavoro Sviluppo Tecnologico e Normative.

“In realtà noi abbiamo sul mercato dei prodotti che sono stati sviluppati per durare più di 20 anni. Chiaramente non può riguardare tutto il mercato, riguarda produttori di alta qualità, ma gli inverter possono arrivare, e abbiamo esempi reali, a funzionare anche per più di 20 anni”.

Sulla stessa frequenza anche Leonardo Botti, Managing Director Commercial & Industrial di FIMER, che ha rilevato l’attività inverter di Abb, e prima ancora di Aurora-Powerone, secondo cui molto dipende dai tipi di inverter e dai singoli casi specifici – al netto di tanti impianti con componenti di scarsa qualità e risalenti a quando i conti energia cambiavano ogni 6-12 mesi e gli installatori facevano fatica a stare dietro alle modifiche normative e a sopperire alla carenza di offerta.

“Al netto di questo, il suggerimento che mi sento di dare è di capire prima di tutto se l’inverter che si possiede, continuamente problemi, li ha dati, oppure non li dà”, ha detto Botti a QualEnergia.it. “Perché se problemi non ce ne sono oppure ci sono stati ma in maniera molto, molto sporadica e sono stati risolti, allora, sinceramente mi sentirei di dire: continuiamo a utilizzare l’inverter e aspettiamo eventualmente che non funzioni proprio più.”

Quando sostituire

Se invece si ha a che fare con inverter che con una certa regolarità sono soggetti a malfunzionamenti e guasti, in questo caso, probabilmente vale la pena pensare già oggi ad una sostituzione, visto che molto probabilmente la garanzia è già scaduta o, nel caso non lo fosse, anche il servizio di garanzia potrebbe non essere più attivabile, poiché magari l’azienda non esiste neanche più.

“Questa è una situazione in cui sicuramente è importante fare un ragionamento, che vuol dire guardare a soluzioni che possono essere disponibili sul mercato”, osserva Botti.

Assodato che “non è scritto da nessuna parte e non è una regola aurea che al decimo anno l’inverter smette di funzionare”, come sottolineato da Natalizia, nel caso in cui invece sia effettivamente necessario sostituire l’inverter, cosa si possono attendere i proprietari in termini di costi, procedure e vantaggi della sostituzione?

Cosa aspettarsi quando si sostituisce

Da un punto di vista installativo, la sostituzione dovrebbe essere piuttosto semplice, nel senso che i nuovi inverter sono sempre compatibili con le configurazioni degli impianti di 10 anni fa, in maniera tale che l’elettricista o il tecnico non dovrà intervenire sulla conformazione dell’impianto o cambiare troppo la sua configurazione, ma dovrà semplicemente solo quasi “staccare” la vecchia macchina e mettere la nuova.

I costi, chiaramente, dipenderanno da vari fattori, come la competitività del mercato locale degli  installatori, il tipo di struttura della ditta, eccetera. Ma, per un buon inverter da 3 kW, il cliente finale potrà pagare  da 700 a 1.000 euro + Iva 10% per la fornitura della macchina, che spesso può già avere a bordo un sistema di monitoraggio, e circa 400-500 euro + Iva 10% per l’installazione.

Diciamo quindi, molto a spanne, una cifra complessiva attorno ai 1.500-1.700 euro Iva inclusa.

Le garanzie standard sul prodotto, che spesso una decina di anni fa erano al massimo di cinque anni, oggi arrivano normalmente a 10 anni, e talvolta anche a 12.

Si dovrà poi comunicare l’avvenuta sostituzione sul portale online del Gestore dei Servizi Energetici (Gse). Si tratta di una procedura piuttosto semplice che lo stesso proprietario dell’impianto può eseguire. La può altrimenti demandare ad un professionista o alla stessa ditta installatrice, che però addebiteranno probabilmente qualcosa come 250-300 euro aggiuntivi per il servizio.

Vantaggi

Passando ai vantaggi, i proprietari andranno incontro a tre cambiamenti principali: uno immediatamente percepibile e consistente nella comunicazione e interfaccia dell’inverter; uno quasi impercettibile, cioè il miglioramento dell’efficienza di conversione, che è comunque significativo, poiché i nuovi inverter ormai hanno quasi raggiunto il limite fisico di convertibilità, oltre il quale non è possibile andare

Infine un cambiamento che si manifesterà nel corso del tempo, e cioè sul fronte della produzione e convenienza economica, di cui cercheremo di chiarire la natura fra poco.

Comunicazione digitale

Il cambiamento più evidente sarà dunque la comunicazione digitale, che permette di interagire, di ottenere informazioni, di seguire in tempo reale il funzionamento del sistema, aspetto che una volta era possibile solo recandosi fisicamente a leggere il display dell’inverter, perché le tecnologie di 10 anni fa non permettevano altro.

Oggi gli inverter, scaricando una semplice app sul telefono, consentono di monitorare l’impianto anche dall’altra parte del mondo o di ricevere da parte di alcune aziende produttrici degli avvisi in caso di malfunzionamento dell’impianto.

Inoltre, già oggi ma sempre di più in futuro, ci sarà una “fortissima integrazione” in termini di servizi, ci spiega Natalizia, secondo cui gli inverter non saranno più solo il cuore dell’impianto fotovoltaico, ma anche il “cervello”.

Ciò vuol dire, per esempio, che l’inverter interagirà con i sistemi di domotica della casa, che sono in grado di sfruttare al meglio l’energia prodotta dall’impianto.

L’inverter utilizzerà quindi ’impianto fotovoltaico per alimentare non dei carichi casuali, ma carichi diversi in base alle disponibilità di energia e alle necessità della casa: attivando una lavatrice, piuttosto che la pompa di calore o la ricarica del veicolo elettrico.

Efficienza di conversione

Venendo all’efficienza di conversione, secondo Botti, c’è stato un allineamento su valori che ormai hanno superato il 98%, rispetto ad inverter di qualità che in passato raggiungevano il 97%. Le differenze possono però essere maggiori rispetto a vecchi inverter di minore qualità.

“Le nuove soluzioni possono aver guadagnato qualcosa come un punto percentuale circa, dipende poi dalla taglia, perché ci sono dei range; però se facciamo il paragone con inverter tecnologicamente meno avanzati, qualitativamente meno performanti, in questo senso anche l’aumento dell’aspetto produttivo può essere ben maggiore”, ha detto il manager di Fimer.

“Ci sono inverter che 10 anni fa avevano un’efficienza inferiore al 90%. Oggi il 96-97% è lo standard, quindi, in qualche caso, si può veramente ottenere un vantaggio rilevante anche in termini di produzione energetica, anche del 5-10%”.

Poi c’è da considerare che alcuni inverter dieci anni fa avevano ancora il trasformatore di isolamento, perché veniva richiesto appunto l’isolamento galvanico. Oggi non è più così e in questi casi, “la sostituzione dell’inverter potrebbe tranquillamente portare a un aumento dell’efficienza di conversione anche di due, tre, fino a quattro punti percentuali”, ha detto Natalizia.

Vantaggi economici

Bisogna chiarire però che possibili guadagni di questa entità nell’efficienza di conversione di un nuovo inverter, non si traducono immediatamente in guadagni monetari o in risparmio in bolletta.

“Un cambio del genere dell’inverter sicuramente permette delle performance migliori, però bisogna considerare tutto il resto del sistema, cioè bisogna capire anche i pannelli quale degradazione hanno subito nel tempo, perché sicuramente l’hanno subita, se la potenza fotovoltaica, lato corrente continua, era X o era Y”, ha detto Botti.

“Se 10 anni fa è stato fatto un impianto da 3 kW, oggi probabilmente quei pannelli 3 kWp, comunque, non li danno più, perché sono invecchiati di 10 anni anche i pannelli all’epoca [e inoltre potevano essere non proprio i migliori]”.

In questo caso, l’impianto potrebbe essere nominalmente di 3 kWp, ma in realtà la potenza che l’inverter ha effettivamente disponibile potrebbe essere anche di soli 2,7 kW per esempio. È quindi chiaro che con un inverter più performante la prestazione generale dell’impianto migliorerà, ma non di pari passo con l’aumento di efficienza dell’inverter.

“Non è detto che se abbiamo un guadagno del 10% sull’efficienza ci ritroviamo una produzione del 10% maggiore. Non è così”, ha sottolineato Botti. “Certo, potrebbe benissimo invece esserci il caso in cui si è fatto all’epoca un impianto da 3,6 kWp usando un inverter da 3 kW, per esempio, e in questo caso l’effetto potrebbe essere un po’ più consistente”.

Nella maggior parte dei casi, quindi, la sola sostituzione dell’inverter non porterà a un aumento netto di producibilità, incentivi o risparmio in bolletta rispetto a 10 anni prima, ma più probabilmente porterà a riavvicinarsi ai livelli di performance di quando l’impianto era nuovo. Cosa non da poco,sia in termini economici che energetici.

Accumuli sì, accumuli no

Riguardo alle batterie, non necessariamente ha senso installarle, anche nel caso si sia deciso di cambiare l’inverter, nonostante questa pratica negli ultimi anni in Italia abbia goduto di una certa diffusione.

Va ricordato infatti che il sistema di accumulo più grosso e facilmente disponibile è in realtà la rete elettrica. Al netto quindi di scelte legittime basate su considerazioni ideali o di altro tipo, da un punto di vista della convenienza, l’eventuale installazione di un sistema di accumulo dipenderà da considerazioni squisitamente tecniche ed economiche.

In primis il profilo dei consumi dell’utente, poi il prezzo del kWh prelevato dalla rete pubblica rispetto al kWh prodottto e stoccato in casa e, infine, il regime contrattuale sottoscritto con il Gse, cioè se si hanno gli incentivi del Conto Energia o si è invece solo in regime di Scambio sul posto e autoconsumo.

“Se abbiamo un impianto domestico che ha un incentivo, con una performance positiva, e non  abbiamo in casa consumi [notturni] particolari, il concetto dell’accumulo lo vedo poco interessante oggi”, ha detto Botti. “Perché se c’è un Conto Energia, l’energia che si produce viene pagata con un incentivo, e allora non ha molto senso andare ad immagazzinarla in batterie per usarla la sera, quando si può usare l’energia della rete, che costa molto meno del valore al kWh dell’incentivo… Per un sistema incentivato, sinceramente l’accumulo oggi non ha molto senso”.

La convenienza può esserci invece per gli impianti che non hanno incentivo sulla produzione, in solo Scambio sul posto; per esempio con delle batterie possono massimizzare o migliorare il rendimento dell’investimento, aumentando l’autoconsumo, grazie all’energia accumulata e resa disponibile la sera.

“Per scegliere la soluzione migliore bisogna fare appunto un’analisi attenta dei fabbisogni di quello specifico progetto e quindi non andare troppo dietro alle mode”, ha concluso Natalizia.

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