Fotovoltaico e manutenzione degli impianti domestici, un vademecum

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Alcune indicazioni pratiche sulla manutenzione dei piccoli impianti fotovoltaici con una “Tabella delle manutenzioni”.

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Difficilmente la spesa per la manutenzione di un impianto fotovoltaico domestico è giustificata economicamente dal miglioramento delle sue prestazioni, come dicevamo in un precedente articolo (QualEnergia.it, Fotovoltaico e manutenzione degli impianti domestici: prima di tutto il monitoraggio.)

Per affrontare e digerire lietamente i costi di manutenzione di un impianto fotovoltaico domestico, bisogna quindi essere disposti a vederlo un po’ con gli stessi occhi di un appassionato d’auto rispetto alla propria macchina – il sacrificio economico passa, cioè, in secondo piano rispetto al piacere che si prova nell’avere un impianto “tirato a lucido”.

In tal caso, senza dimenticare del tutto le ragioni del portafoglio, vediamo in che cosa potrebbe consistere una manutenzione ordinaria di un impianto domestico, e cioè cosa fare e quando. Alla fine di questo articolo trovate anche una “Tabella delle manutenzioni”, speriamo di facile lettura, per aiutare i proprietari ad orientarsi.

Cosa fare

Premesso che è consigliabile sempre e comunque avere un sistema di monitoraggio, e che in assenza di quello ogni tanto sia necessario almeno buttare un occhio all’inverter per vedere se sia acceso, ci siano spie rosse di allarme o segnali di errore, le cose principali da fare sarebbero la pulizia dei moduli e possibilmente un loro esame termografico, ha detto a QualEnergia.it Massimo Gamba, consigliere di Italia Solare e titolare di uno studio specializzato fra le altre cose anche nella progettazione e verifiche di impianti FV.

L’esame con termocamera consente di verificare facilmente e rapidamente l’eventuale presenza di “punti caldi” o hot spot, che potrebbero non essere ben visibili ad occhio nudo. Lo hot spot si può verificare quando una cella della stringa produce una corrente molto più bassa delle altre.

Tale problema può essere dovuto a cause ambientali, come il fatto che la cella sia in ombra o ricoperta da fogliame o deiezioni di uccelli. Oppure può dipendere da fattori interni alla stringa, come la rottura meccanica della cella, una difetto di saldatura, contatti difettosi, ecc., ha detto Gamba.

Qualunque sia la causa, in presenza di uno hot spot, l’energia prodotta dalle celle funzionanti viene dissipata dalla cella in ombra o malfunzionante, provocando un surriscaldamento elevato in un’area ridotta, da cui appunto il nome di hot spot.

Dal punto di vista pratico, l’esame termografico si scontra con la difficoltà che in tanti casi il manutentore ha nel raggiungere l’impianto sul tetto e a lavorare in sicurezza.

“Purtroppo a volte non si fa nel domestico, perché se non è presente la linea vita, i costi per la sicurezza o per il sorvolo mediante un drone con termocamera risultano elevati”, ha detto Gamba.

Quello che sarebbe, infatti, un esame piuttosto rapido e relativamente economico, può diventare ben più costoso se si devono mettere in conto ogni volta droni, mezzi elevatori e altre misure di sicurezza. La linea vita dovrebbe in teoria essere già presente sul tetto, ma non sempre purtroppo è così. In questi casi, il singolo intervento rincara facilmente di almeno qualche centinaio di euro e da qui l’inclinazione di tanti proprietari a non fare niente e sperare in bene.

Dal punto di vista della pulizia, col passare del tempo lo sporco che si deposita sui moduli, oltre a poter causare dei veri e propri hot spot, riduce comunque la trasparenza del modulo con possibile perdita di rendimento.

L’intensità dell’effetto dipende dall’opacità del residuo. Semplici patine di polvere che attutiscono l’intensità del sole in modo uniforme non sono troppo problematiche e la riduzione della potenza non è, in genere, significativa. In questi casi, l’azione dell’acqua piovana o anche della neve, che quando scivola verso il basso ha un’ottima azione pulente, sono adeguati a mantenere puliti i moduli.

Il problema è più grave e può provocare effetti simili a quelli prodotti dalle ombre nel caso di residui industriali ed escrementi di uccelli. In questi casi l’azione dell’acqua piovana non è sufficiente.

Se l’impianto è facilmente raggiungibile ed è possibile lavorare in sicurezza, come su un tetto piano di un condominio, il proprietario può facilmente lavare da solo i moduli con un panno o una spugna morbidi, non abrasivi, e un comune detergente per vetri. Vanno evitate sostanze chimiche o detergenti aggressivi e anche l’accumulo sui moduli fotovoltaici di acqua, che evaporando rischierebbe di lasciare aloni nel caso di acque particolarmente dure.

Meglio quindi usare acqua trattata, senza calcare, precisa Gamba. Nel caso invece il lavaggio venga fatto da un manutentore su falde non facilmente agibili, verranno usati accorgimenti ad hoc.

Quando farlo

L’esame termografico andrebbe fatto almeno una volta l’anno, ha precisato Massimo Gamba a QualEnergia.it.

La frequenza delle opere di pulizia dipende invece dall’intensità del processo di imbrattamento e dall’inclinazione dei moduli: più il modulo è orizzontale e meno l’azione di pioggia o neve sarà in grado di asportare eventuali residui anche di lieve entità.

Tuttavia l’ideale sarebbe pulirli più o meno una volta a stagione o a seguito di eventi quali sabbia dal deserto o simili, relativamente frequenti nel centro-sud Italia. Certamente, almeno una volta l’anno si dovrebbe pulire l’impianto, ha detto Gamba.

Come farlo

Visto che è necessario affidarsi a operatori specializzati in possesso dei requisiti tecnico professionali previsti dal DM 37/2008 per tutte le opere di manutenzione, per un eventuale lavaggio fai-da-te dei moduli su superfici piane, non sdrucciolevoli e facilmente raggiungibili, si consiglia di “spegnere” l’inverter e indossare sempre guanti isolanti di gomma per garantire l’isolamento elettrico.

Non utilizzare poi sostanze alcaline, comprese le soluzioni a base di ammoniaca, né idropulitrici o macchine per la pulizia che spruzzano acqua in pressione.

Quanto costa

Ci sono ditte di manutenzione che offrono pacchetti annuali in cui sono comprese tutta una serie di misurazioni e verifiche sia visive che strumentali. I prezzi possono variare quindi molto.

Se invece si decide di optare per servizi a chiamata, la sola termografia, escluse le spese per un drone o per salire e lavorare in sicurezza sul tetto, ha un prezzo che si aggira attorno ai 200 euro. Se invece è necessario usare un drone o un mezzo elevatore per salire sul tetto o lavorare su una linea vita, i prezzi lievitano anche di svariate centinaia di euro.

Una pulizia dei moduli a cura del manutentore costa al cliente circa 150-200 euro, sempre che siano facilmente raggiungibili. Rimanendo nell’ottica di un servizio a chiamata, una verifica delle funzionalità dell’inverter e dei quadri elettrici varia dai 50 ai 120 euro.

Ricapitolando, per un servizio a chiamata che una volta l’anno offra termografia, lavaggio moduli e verifica inverter, in situazioni che non richiedano mezzi elevatori o misure di sicurezza particolari, la spesa del cliente finale sarà grossomodo attorno ai 500 euro.

Se le ragioni del portafoglio dovessero cominciare a pesare di più, si potrebbe optare annualmente almeno per la sola pulizia, diradando l’esame termografico a scadenze più lunghe.

Conviene farlo?

A questo abbiamo più o meno già risposto: più no che sì. L’eventuale decisione di quanto spendere dipenderà anche dal fatto che l’impianto usufruisca o meno del Conto Energia. Dal buon funzionamento dell’impianto dipende, infatti, l’entità dell’incentivo.

Non bisogna comunque dimenticare che ci sono sempre dei compromessi fra convenienza e sicurezza. La decisione pur economicamente comprensibile di non fare grandi manutenzioni su installazioni domestiche potrebbe rivelarsi alla lunga dannosa per l’impianto, anche se evenienze di questo tipo sono limitate.

Succede, per esempio, che uno hot spot non identificato possa dopo un certo tempo provocare un surriscaldamento tale da innescare un incendio, con possibili conseguenze facilmente immaginabili.

Dal punto di vista della convenienza e della sicurezza, quindi, se non lo si ha già, sarebbe sicuramente il caso di far installare un sistema di monitoraggio, probabilmente l’alleato migliore per una buona conduzione dell’impianto.

La tabella

Qui di seguito, una tabella preparata da QualEnergia.it per la manutenzione degli impianti domestici, da affidare a operatori specializzati in possesso dei requisiti tecnico professionali previsti dal DM 37/2008.

Va precisato che scopo della tabella è fornire semplicemente un promemoria personale di facile lettura al titolare dell’impianto, sulle principali componenti che potrebbero usurarsi e che potenzialmente potrebbero richiedere una manutenzione.

Alcune delle operazioni indicate, potrebbero essere relativamente semplici su un impianto facilmente accessibile, per esempio su tetto piano e con moduli inclinati a 30°, ma molto più difficili se non impossibili su impianti “parzialmente integrati” o a maggior ragione “totalmente integrati” su tetto a falda, dove alcune delle operazioni indicate richiederebbero lo smontaggio di una notevole porzione di impianto o un intervento strutturale sulla copertura.

Per un trattamento esaustivo sul tema, rimandiamo alla nuova Norma CEI EN 62446-2 sulla manutenzione degli impianti fotovoltaici, pubblicata a dicembre 2020, per ora solo in lingua inglese, e intitolata Sistemi fotovoltaici (FV) – Prescrizioni per le prove, la documentazione e la manutenzione Parte 2: Sistemi collegati alla rete elettrica – Manutenzione di sistemi fotovoltaici, che descrive appunto i requisiti base, le raccomandazioni e le prestazioni relativi alla manutenzione preventiva e correttiva degli impianti fotovoltaici collegati alla rete.

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