Nel maggio del 2023 il Parlamento italiano ha approvato una mozione di sostegno all’energia nucleare al fine di garantire l’indipendenza energetica del paese.
La mozione chiedeva al Governo anche di favorire campagne di informazione oggettive per evitare opposizioni preconcette.
In Italia la contrapposizione tra produzione di energia nucleare e rinnovabile viene divulgata come una contrapposizione ideologica da parte di molteplici esponenti della maggioranza che governa.
Ma per chiarire i termini oggettivi della controversia, esaminiamo brevemente le peculiarità delle due fonti energetiche.
1 – Gli impianti termonucleari sono caratterizzati da investimenti colossali, tempi di realizzazione molto lunghi e costi del capitale con interessi sui prestiti che superano le due cifre.
Quattro esempi:
- Olkiluoto 3 in Finlandia, EPR da 1.600 MW. Costo finale dopo 12 anni di ritardi: oltre 9 miliardi di euro, contro i 3,2 stimati inizialmente.
- Hinkley Point C in Inghilterra; 2 reattori EPR da 1.600 MW ciascuno. Costo preventivato dell’impianto al 2022: 33 miliardi di sterline (40 mld €). Costo concordato dell’energia: 106 £/MWh (2021)
- Flamanville in Francia. Costo preventivato dell’impianto EPR al 2022: 13 miliardi di euro. EdF ha rivisto al rialzo il costo del kWh per i prossimi 20 anni a 60 €/MWh.
- Vogtle in Georgia, USA. Costo preventivato di due unità da 1.100 MW al 2009: 14 miliardi di dollari. Costo finale dopo 14 anni, di cui 7 di ritardo: 35 miliardi di dollari, di cui 17 mld $ fuori budget.
Il costo unitario di ogni singolo impianto varia da 8 a 16 milioni di euro per ogni megawatt costruito (8000-16000 €/kW).
Le imprese in grado di costruire gli impianti termonucleari non sono molte; pochi colossi controllano il mercato mondiale del nucleare e tra questi:
- Electricité de France (EdF), società pubblica francese che nel 2017 ha incorporato le attività nucleari di Areva, per evitarne il fallimento.
- Rosatom, azienda statale russa che fornisce pacchetti tutto compreso: know-how per la costruzione di reattori, formazione, supporto relativo alla sicurezza, opzioni di finanziamento flessibili, linee di credito erogate dal governo. L’azienda è anche in grado di trattare il combustibile nucleare esaurito di clienti esteri, anche occidentali (non ha subito sanzioni dall’Ue per la guerra in Ucraina).
- Westinghouse, una delle prime aziende al mondo a costruire impianti nucleari, ma ora in mani giapponesi (Toshiba) dopo il rischio di fallimento per via delle forti perdite finanziarie dovute ai numerosi problemi nella costruzione del terzo reattore a Vogtle in Georgia.
In Italia ci sono gruppi industriali in grado di realizzare componentistica nucleare, in particolare Ansaldo, Camozzi e Techint che si propongono in Cina per realizzare componenti importanti e che ovviamente sostengono il cosiddetto “rinascimento nucleare italiano”, dopo i due referendum (1987 e 2011) che hanno bandito con oltre il 90% dei voti la costruzione di impianti nucleari sul territorio italiano.
Ricordiamo che l’Italia è stata la culla della fisica nucleare contribuendo alle scoperte che dettero l’avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare e alla bomba atomica. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia progettò e costruì un reattore nucleare interamente basato su tecnologia italiana denominato “Reattore CIRENE”. Ma il reattore non divenne mai operativo a causa della veemente opposizione del governo degli Stati Uniti, che aveva tutto l’interesse a vendere le centrali nucleari di società come Westinghouse e General Electric.
Occorre poi considerare che l’approvvigionamento del combustibile, ossia l’uranio arricchito, rappresenta una filiera industriale complessa e costosa, che solo pochissime società al mondo sono in grado di svolgere, dall’estrazione in miniera, frantumazione e macinazione, arricchimento, fabbricazione del combustibile, il tutto con considerevoli emissioni di CO2 (si veda il documento del 2019 “Radioactive waste management – future CO2 emissions”, di Jan Willem Storm van Leeuwen – pdf)
2 – Per contro i grandi impianti fotovoltaici, utility scale, costano 10 volte di meno e producono energia elettrica con costi di manutenzione molto bassi e soprattutto nessun costo di combustibile.
Un impianto “utility scale” costa intorno ai 1.000 €/kWp, mentre il costo di un piccolo impianto residenziale si aggira intorno ai 1.800-2.000 €/kWp tutto compreso. Da considerare poi che il problema dell’intermittenza nella produzione di energia elettrica può essere ormai risolto con l’installazione di batterie di accumulo, il cui costo è in continua diminuzione.
Ma, nonostante i vantaggi delle energie rinnovabili, in Italia c’è una nuova forte spinta verso il nucleare. Allora ci si chiede: perché tanto accanimento, soprattutto da parte dei soliti esponenti filo-governativi, a denigrare e ostacolare le fonti rinnovabili e promuovere la costruzione di improbabili centrali nucleari in Italia?
La motivazione non è ideologica, ma è una mera questione di potere e di controllo da parte di gruppi industriali globalizzati che, tramite le loro potentissime lobby, vogliono fare affari d’oro all’ombra di Governi sovranisti e centralisti, auspicando un maggior coinvolgimento dello Stato nell’industria nucleare.
Un esempio convincente di coinvolgimento statale nel settore elettrico e nucleare può essere osservato in Francia, dove l’intera industria elettrica e nucleare è di proprietà statale. Non sorprende, infatti, che la Francia sia in ritardo rispetto ad altri paesi europei in termini di sviluppo delle energie rinnovabili.
L’affermazione“Chi controlla la produzione di energia determina i destini del mondo”sottolinea il ruolo fondamentale che le politiche energetiche svolgono nel definire il cammino delle società e dello scenario globale futuro.
Ma la produzione da fotovoltaico è per sua natura diffusa a livello territoriale. I produttori di pannelli sono moltissimi, anche se attualmente il mercato è dominato dai produttori cinesi. Gli installatori qualificati ormai sono migliaia diffusi su tutto il territorio. Quasi tutti ormai, se ci sono le opportune condizioni, possono installare sul tetto della propria casa un impianto fotovoltaico e ridurre considerevolmente il costo della bolletta elettrica.
A maggio del 2023 su 82 GW di solare fotovoltaico totale installato in Europa, ben il 60%, pari a 50 GW, è rappresentato da piccoli impianti distribuiti. Ciò significa che decine di migliaia di cittadini si sono liberati, anche se solo parzialmente, dalle società elettriche e dai costi elevati dell’energia elettrica da loro fornita.
Purtroppo, i Ministeri e gli apparati governativi non sembrano volere incoraggiare più di tanto lo sviluppo degli impianti a fonti rinnovabili. Infatti, secondo i numeri forniti dall’Osservatorio Via di ANIE Rinnovabili, che ha elaborato i dati del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica sulle procedure depositate per la valutazione d’impatto ambientale, su 68 GW di richieste al 30 giugno 2023, di cui il 46% riguarda impianti agrivoltaici, solo il 5,2% sono state concluse e, di queste, solo 21,5% pari all’1% del totale, risultano concluse positivamente.
In particolare, sempre a giugno 2023, sono state depositate richieste per 41.700 MW di fotovoltaico di cui 31.700 di agrivoltaico, ovvero impianti che coniugano normali coltivazioni agricole con installazioni di pannelli fotovoltaici posti ad almeno due metri di altezza sopra le coltivazioni stesse.
Peraltro, una diffusione massiccia delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e in particolare dell’Autoconsumo Condiviso nei Condominii (ACC), potrebbero ridurre drasticamente la produzione di energia elettrica da parte di impianti centralizzati e rendere veramente inutile la nuova corsa al nucleare.
Ma con uno sviluppo massiccio di rinnovabili, i campioni nazionali partecipati dallo Stato come ENI, Enel, Ansaldo perderebbero grandi affari e i loro, tutt’altro che disinteressati protettori politici, perderebbero quel potere di cui attualmente dispongono, nominandone i vertici e condizionandone lo sviluppo a scapito dei cittadini di questa martoriata Repubblica.