E-fuel, l’ultimo espediente per farci perdere tempo

Altro che neutralità tecnologica. Ecco gli impatti della soluzione che piace tanto al nostro governo: l’elettricità per produrre e-fuel richiederebbe quasi 5 volte più generazione da rinnovabili rispetto a quella necessaria per alimentare i veicoli elettrici.

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Anno 1901, il governo italiano, su pressione di lobby come l’Eni, Equini nazionali integrati, decide di lanciarsi in una crociata contro le automobili, che se si diffondessero lascerebbero disoccupati stallieri e maniscalchi, e contro l’illuminazione elettrica, che se arrivasse in ogni casa, butterebbe sulla strada fabbricanti di lucerne e produttori di gas illuminante.

Per questo, contrariamente al resto del mondo, dichiara orgoglioso il governo, l’Italia andrà avanti con carrozze a cavalli, incurante delle montagne di letame per le sue strade, e case rischiarate da fiammelle, indifferente a incendi e mortali fughe di gas: l’economia nazionale è salva.

Naturalmente la Storia non è andata così, il governo dei primi del ‘900 è stato lungimirante: evitando di salvare candele e carrozze, ha permesso la nascita di nuovi, giganteschi settori industriali, che hanno dato più lavoro dei precedenti, migliorando anche la qualità di vita di tutti.

Ma forse i nostri posteri non potranno dire lo stesso del governo dell’Italia del 2023, visto che, a fronte di altrettanto epocali salti tecnologici, è partito lancia in resta in difesa del vecchio ordine.

Parliamo ovviamente del doppio fronte dell’opposizione alle politiche europee sul miglioramento energetico del parco edilizio entro il 2033 e sulla fine della produzione di veicoli con motore a scoppio, in favore di quelli elettrici, dal 2035.

Se la prima campagna di retroguardia è grottesca, perché migliorare l’efficienza edilizia, non è una spesa o “una tassa patrimoniale” (vera ossessione di certi politici), ma un redditizio investimento sul futuro, visto quanto fa risparmiare, sia in emissioni che in denaro, la seconda è surreale per le soluzioni alternative finora proposte.

Che la sostituzione dei motori a combustione interna non sarà un “pranzo di gala”, né in Europa né altrove, è ovvio: questi propulsori, per la semplicità, compattezza e versatilità, loro e dei combustibili che usano, sono impiegati in una infinità di applicazioni, dalle auto agli aerei, dalle ruspe alle navi, dai droni ai piccoli generatori elettrici, ognuna delle quali ha le sue esigenze ed è chiaro che lo stato dell’arte della trazione elettrica non può ancora soddisfare ogni tipo di richiesta.

Ma in realtà siamo alla preistoria della rivoluzione della mobilità elettrica e da qui al 2035 ne vedremo delle belle: solo per dire, su Science è stata appena annunciato una batteria litio-aria con una velocità di ricarica e capacità doppia delle attuali, mentre in Cina è entrata in commercio la prima auto con batterie al sodio, aggirando l’ostacolo della relativa scarsità del litio.

Difendere oggi il motore a scoppio, è, appunto, come difendere le carrozze a cavalli 120 anni fa con le motivazioni che di benzina se ne produce troppo poca, di distributori ce ne sono ancora meno e le auto sono scomode e poco affidabili.

Però, dicono i difensori del motore a scoppio, visto che la sua sostituzione è motivata da ragioni climatiche, se si riuscisse a far funzionare il motore termico con combustibili a zero CO2 fossile, il suo impatto diverrebbe come quello dell’elettrico: le auto del futuro potrebbero quindi andare sì a batteria, ma anche con il rassicurante broom broom dei vecchi motori alimentati a biocombustibili ed e-fuel, quelli ricavati chimicamente con elettricità rinnovabile.

Una posizione apparentemente ragionevole, che però dimentica che i mezzi che usano motori a scoppio sono responsabili anche di inquinamento chimico, rilasciato spesso proprio nelle aree più densamente abitate, con effetti nocivi sulla salute ormai ampiamente dimostrati.

L’Italia, notoriamente, ha la sua parte nord che figura fra le aree più inquinate d’Europa, soprattutto per la concentrazione di motori a scoppio.

Usare “imitazioni” dei combustibili a petrolio, sia pure senza CO2, lascia intatto il problema, mentre l’elettrico lo elimina, come dimostra un recente studio svolto in California: le aree con il maggiore numero di auto a batteria registrano già un calo di inquinamento e dei conseguenti problemi di salute.

Quindi la persistenza dell’inquinamento chimico è già un grosso scheletro nell’armadio, dietro la cosiddetta “neutralità tecnologica” dei combustibili a CO2 zero. Ma almeno sarebbero veramente tali?

Sui biocombustibili c’è poco da dire, visto che decenni di ricerche li hanno praticamente sepolti: produrre alcol oppure oli combustibili per farne benzina e gasolio è una follia, perché richiede superficie enormi, che toglierebbero spazio all’agricoltura o alle aree naturali.

Per esempio, la più efficiente pianta da olio, la palma, produce 3 tonnellate di olio per ettaro (4 volte rispetto a colza o girasole); supponiamo che da questi si ricavino 3 tonnellate di gasolio, allora per produrre quello consumato nel mondo, 650 milioni di tonnellate, bisognerebbe coprire di palme una superficie come quella dell’Australia.

Inoltre, l’agricoltura, con il suo impiego di fertilizzanti, pesticidi, irrigazione, lavorazione dei terreni e trasporti, ha la sua bella quota di emissioni di CO2: meglio lasciare quindi che svolga solo il suo compito primario, produrre cibo per gli uomini, non per le auto…

Visto che con i biocarburanti non si andava da nessuna parte, nei tentativi di evitare l’estinzione del motore a scoppio ora la parola magica è diventata e-fuel, che sarebbero poi i carburanti ricavati dall’idrogeno dell’acqua e da CO2, possibilmente estratta dall’aria.

Estrarre benzina e gasolio, da aria, acqua e sole, sembra quasi una magia. Ma l’incanto si rompe guardando all’efficienza del processo: per produrre così un litro di benzina servono fino a 27 kWh, che è poi tre volte il contenuto energetico presente nella benzina stessa.

Considerando un valore più ottimistico, diciamo 20 kWh/l, ciò vuol dire che per sostituire con e-fuel tutti i carburanti prodotti nel mondo in un anno, 1.300 mld di litri, servirebbe una generazione elettrica ulteriore di 26.000 TWh, uguale a quella globale annuale, mentre per sostituire i 30 mld di litri di carburanti consumati annualmente dall’Italia, servirebbero 600 TWh elettrici, il doppio della nostra produzione elettrica.

Ma quanta elettricità servirebbe, invece, per mandare avanti dei trasporti del tutto elettrificati?

Il conto (approssimativo, ovviamente) è presto fatto: 1.300 mld di litri di carburanti corrispondono a circa 13.000 TWh di energia contenuta in essi: ma visto che il motore termico ha uno scarsissimo rendimento, finendo per sprecarne almeno i 2/3 come calore, diciamo che i trasporti richiederebbero 4.300 TWh di energia per muovere i mezzi.

Ora, la trazione elettrica, ha un’efficienza di circa il 70% nel consumo dell’elettricità che gli arriva dalla rete, tra perdite di trasporto e di efficienza di batterie e motore, quindi serviranno circa 5.600 TWh di elettricità ulteriore per svolgere lo stesso servizio oggi reso dai combustibili fossili. All’Italia circa 130 TWh in più rispetto ai 300-330 di oggi.

In definitiva, usare l’elettricità per produrre e-fuel richiederebbe quasi 5 volte più produzione di rinnovabili, rispetto all’uso della stessa elettricità per far andare direttamente i mezzi elettrici.

I costi degli e-fuel sarebbero proporzionali al loro enorme spreco energetico: giusto i proprietari delle Porsche saranno in grado di far andare le loro auto con gli e-fuel prodotti, con grande fanfara mediatica, in Cile .

Tornando al caso italiano l’aspetto più più strano è forse che le stesse persone che vogliono il motore termico for ever, sono in genere le stesse che gridano contro l’occupazione di suolo delle rinnovabili e contro al fatto che anche pannelli solari e turbine eoliche sono responsabili di emissioni di CO2 durante la loro costruzione.

È bizzarro che ora vengano a proporre una soluzione, gli e-fuel, che quintuplica i due impatti, senza neanche risolvere il problema dell’inquinamento chimico: più che neutralità tecnologica, qui siamo all’assurdità tecnologica.

Ma perché allora questo improvviso innamoramento di ministri e politici per gli e-fuel?

L’impressione è che non sappiano di cosa stiano parlando e che seguano come ombre i suggerimenti che sussurrano alle loro orecchie le lobby petrolifere e dell’auto tradizionale, che farebbero di tutto pur di prolungare di qualche anno il business as usual, continuando a far balenare soluzioni, dai biocarburanti al nucleare di n-esima generazione o da fusione, dal sequestro della CO2 fino, per ora, agli e-fuel. Soluzioni che, sanno benissimo, non ci porteranno da nessuna parte.

Quindi gli e-fuel sono una completa assurdità? No, sono una tecnologia che, con i biocarburanti, avrà forse la sua importanza per coprire quelle nicchie dove le alternative al motore termico sono effettivamente scarse: per esempio il trasporto aereo o i mezzi pesanti con poco spazio per le batterie, come ad esempio le ruspe.

Ma le possibilità che un giorno auto e camion del mondo usino quei carburanti nei motori a scoppio, invece di batterie e motori elettrici, sembra tanto probabile quanto che si risolva tutto inventando il moto perpetuo.

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