Lo sporco attacco alla mobilità elettrica

Perché la battaglia di retroguardia del governo italiano rischia di metterci ai margini nell'industria mondiale dell'automotive.

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Incredibili i commenti governativi alla decisione di sospendere momentaneamente lo stop alla vendita di auto a combustione interna dal 2035.

Meloni: “È un nostro successo”. Il ministro Urso: “Abbiamo svegliato l’Europa”.

Ma secondo i costruttori tedeschi abbandonare l’eliminazione graduale del 2035 per i motori a combustione a favore degli e-fuel sarebbe fatale per l’industria automobilistica che vuole certezze per gli investimenti colossali in atto.

Lo sconsiderato attacco del governo alla transizione verso l’elettrico si accompagna all’inadeguatezza storica in questo campo che spiega il nostro ruolo marginale in Europa.

Qualche dato sull’evoluzione in atto. Mentre nel 2022 in Germania le vendite delle auto elettriche sono aumentate del 32% e nel Regno Unito del 40%, da noi le immatricolazioni sono scese del 27%.

Ancora più significativo il dato sulla quota di mercato delle auto elettriche. In Germania siamo al 18%, nel Regno Unito al 17%, in  al 13% contro il nostro 4%.

Su scala mondiale, si osserva una crescita inarrestabile: nel 2022 hanno raggiunto il 13% del mercato (contro il 4% del 2020) con 10 milioni di auto vendute.

Questa accelerazione fa capire la necessità di avviare scelte coraggiose sul fronte industriale.

Salvini afferma che il blocco del 2035 sarebbe un regalo alla Cina. Ma è esattamente l’opposto.

Pechino è oggi leader con oltre la metà del mercato mondiale e fa dunque bene l’Europa a darsi obiettivi ambiziosi per stimolare le proprie industrie dell’auto e favorire la costruzione di fabbriche di batterie (sono una trentina le gigafactories previste).

Peraltro, è significativo il fatto che, subito dopo lo stop dell’Europa, anche diversi Stati degli Usa, come California e New York, abbiano adottato lo stesso obiettivo per il 2035.

Un dato che comporta due riflessioni.

La prima riguarda il ruolo di apripista e di sollecitazione dell’Europa. Come è già successo con le rinnovabili 20 anni fa, le scelte Ue hanno importanti ricadute internazionali.

La seconda considerazione riguarda il fatto che ormai la rivoluzione della mobilità elettrica è partita. Basta ricordare i 52 miliardi di euro stanziati da Volkswagen fino al 2026, anche se il nuovo Amministratore proveniente da Porsche ha un debole per gli e-fuels.

Insomma, bisogna solo capire se, come sistema Italia, riusciremo a cavalcare l’onda o se subiremo conseguenze per i nostri ritardi. Purtroppo, dal governo arrivano segnali sconfortanti.

“Il destino dell’auto non è solo elettrico”, secondo il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, “L’ho detto più volte, io scommetto sull’idrogeno”.

Ormai anche il Giappone, che pure aveva puntato sulle auto a idrogeno, si sta ricredendo. Il nuovo presidente Koji Sato, che prenderà le redini della Toyota il 1° aprile, ha affermato che la società punterà sull’elettrificazione.

Il governo italiano dovrebbe raccogliere le sfida e aiutare la riconversione delle imprese della componentistica auto, che peraltro lavorano per il 60% per l’industria tedesca, invece di litigare sul 2035 regalando vantaggi ad altri paesi.

Una battaglia di retroguardia puntando, sull’altare della neutralità tecnologica, sull’inclusione degli e-fuels, carburanti sintetici ottenuti combinando idrogeno e anidride carbonica, soluzione decisamente più costosa e meno efficiente energeticamente.

Peraltro, secondo Transport & Environment, sulla base dei dati resi noti dalla stessa industria della raffinazione, nel 2035 in Europa la disponibilità di carburanti sintetici sarà talmente limitata da alimentare appena il 2% delle auto in circolazione.

Ma torniamo sulla scena internazionale.

L’Europa vive una fase critica dovuta alla contemporanea sfida dell’Inflation Reduction Act (IRA) lanciato da Biden lo scorso agosto (368 miliardi $ per la transizione green), e dell’impegno di Pechino con il Made in China 2025 (MIC).

È questo, dunque, il momento giusto per mettere in atto una politica industriale automobilistica ambiziosa e strutturata. Nei prossimi mesi vedremo come si articolerà la risposta della Ue, ma è chiaro che si apriranno maggiori opportunità per rafforzare e far decollare nuovi comparti per la mobilità elettrica e per le batterie.

Anche perché l’evoluzione tecnologica consente di superare alcune criticità. L’anno scorso, ad esempio, è raddoppiata la quota di mercato dei catodi al litio-ferro-fosfato (LFP), che non richiedono nichel o cobalto.

Insomma, la transizione climatica si è avviata e l’aggressione russa all’Ucraina sta accelerando la risposta ai fossili.

Occorre che anche nel nostro paese si mettano da parte timidezze e scelte fuorvianti, agganciamoci alle evoluzioni in atto in Europa e in molti altri paesi. La presenza di una opposizione decisa e intransigente potrà favorire questo processo.

L’articolo è un estratto dall’editoriale del n.1/2023 della rivista bimestrale (in uscita)

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