È in corso una resa dei conti fra Bruxelles, Parigi e Berlino sulla possibile proroga degli ingenti sussidi energetici offerti in tutta Europa a imprese e cittadini per far fronte ai rincari di gas, elettricità e benzina, innescati in prima battuta dalla pandemia e a ruota dall’invasione russa dell’Ucraina.
Sono sussidi sono solitamente proibiti nella Ue, ma la Commissione ha messo in pausa l’applicazione del divieto nel suo Quadro temporaneo di crisi e transizione, fino cioè al termine dell’emergenza.
Sulla scia del drastico calo dei prezzi energetici rispetto ai massimi degli ultimi due anni, Bruxelles vorrebbe terminare i sussidi il prossimo 31 dicembre, come previsto nel quadro sottoscritto dagli Stati membri.
Il problema è che né la Francia né la Germania sono intenzionate a eliminare del tutto i sussidi.
Le due maggiori economie europee temono di perdere competitività manifatturiera e che le loro industrie leader se ne vadano negli Stati Uniti o in Cina, dove i governi offrono aiuti pubblici alle aziende.
Un sondaggio della Commissione
In un sondaggio inviato ai governi nazionali alla fine del mese scorso e ottenuto da “Politico”, la Commissione sta preparando il terreno e premendo sulle capitali affinché confermino la graduale eliminazione delle sovvenzioni al settore energetico entro i termini previsti.
Nel suo documento, la Commissione ha indicato che le sovvenzioni statali non sono più necessarie e che una loro ulteriore applicazione nel 2024 potrebbe configurarsi nuovamente come un aiuto di Stato illegale, con quello che ne conseguirebbe in termini di procedure di infrazione e distorsione del mercato unico.
I Paesi più grandi, come Germania e Francia, possono infatti sostenere i loro “campioni” aziendali nazionali a un livello che i più piccoli non potranno mai eguagliare, facendo venire meno il principio fondante della concorrenza di mercato, secondo la Commissione.
Sussidi e timori di de-industrializzazione
Nel 2022, la Germania ha rappresentato ben il 53% dei 672 miliardi di euro spesi complessivamente dagli Stati membri in sussidi pubblici, con la Francia al secondo posto con il 24% delle sovvenzioni.
Francia e Germania sono in diretta concorrenza con gli Stati Uniti, dove l’Inflation Reduction Act offre generosi sussidi verdi e sgravi fiscali, oltre che con la Cina, l’India e altre aree.
Alcune aziende europee hanno già deciso di modificare i propri progetti di sviluppo, spostando i propri investimenti fuori dalla Ue, facendo aumentare il timore che la base industriale europea si stia gradualmente erodendo.
La posizione della Francia
Parigi sta cercando di creare una deroga che le consentirebbe di sovvenzionare in modo permanente l’energia nucleare, hanno dichiarato a Politico tre alti funzionari coinvolti nei negoziati.
I transalpini vogliono cioè inserire il diritto di sovvenzionare le centrali nucleari nella nuova riforma del mercato dell’elettricità attualmente in fase di elaborazione nell’Ue. L’idea sarebbe di consentire ai Paesi di pagare sussidi “per le nuove centrali nucleari e per l’aggiornamento e l’aumento della potenza di quelle esistenti”.
La posizione della Germania
La Germania, da parte sua, teme che la sua industria pesante chiuda i battenti e si trasferisca oltre il Reno, attirata dal nucleare francese sovvenzionato.
“È già difficile abbastanza che gli Stati Uniti abbiano un’energia molto più economica, ma se lo fa il nostro vicino di casa, è tutto un altro paio di maniche”, ha detto un funzionario tedesco coinvolto nelle discussioni. In Germania però c’è chi giustamente si chiede perché i francesi abbiano bisogno di sovvenzionare l’atomo, se l’energia nucleare è così economica.
Il gruppo parlamentare socialdemocratico della coalizione di governo tedesca vorrebbero invece fissare un prezzo sussidiato di 5 €cent per kWh per cinque anni.
Il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, dei Verdi, aveva già sostenuto a luglio la necessità di un prezzo dell’energia riservato al settore manifatturiero, per evitare l’esodo dell’industria tedesca, ma i partner liberali della FDP e lo stesso cancelliere Olaf Scholz rimangono scettici.
La posta in gioco
Se Germania e Francia sono d’accordo sull’idea di prolungare i sussidi oltre il 2023, i loro orientamenti non tirano acqua allo stesso mulino, anzi sono in concorrenza reciproca.
La lotta in corso sta mettendo in luce i particolarismi sulle due sponde del Reno, oltre che la posta in gioco e i possibili vincenti e perdenti di questa partita.
Un potenziale “accordo di pace” sulla continuazione dei sussidi per i rispettivi settori e aziende chiave potrebbe vedere entrambi i Paesi sovvenzionare almeno alcune industrie anche nel 2024 e forse oltre. Ma tutti i settori e le imprese non beneficiate si ritroverebbero in condizioni di svantaggio.
Per cercare di reggere la concorrenza esterna si rischia insomma di distorcere la concorrenza interna a favore dei soggetti più influenti, creando aziende di serie A e di serie B, all’interno anche di uno stesso Stato membro, oltre che Stati membri che non competono alla pari.
Sarebbe uno sviluppo che, oltre a innescare nuovi probabili contrasti commerciali, metterebbe in discussione i principi di coesione dell’Unione, innescando una sorta di tutti contro tutti di difficile ricomposizione, una volta che i cocci si rompessero.
L’Ue stessa utilizza i sussidi energetici della Cina come argomento per imporre contro-tariffe su acciaio, ceramica, alluminio e altri prodotti cinesi.
A parte i possibili vantaggi temporanei di un prolungamento dei sussidi, il pericolo di fondo è che Germania e Francia finiscano per indebolirsi da sole, dirottando risorse per sostenere artificialmente industrie poco efficienti, scarsamente sostenibili o in via di estinzione, a scapito di quelle più economiche, sostenibili e innovative.
La Commissione ha chiesto ai Paesi membri di rispondere al sondaggio sui sussidi energetici entro il 15 settembre.
Il quadro temporaneo di crisi dell’Ue consentirà comunque ai governi di finanziare misure a lungo termine per promuovere le energie rinnovabili, la decarbonizzazione dei processi industriali e la transizione verso un’economia a zero emissioni fino alla fine del 2025, poiché si tratta di politiche che non sono state attuate per rispondere alle impennate dei prezzi del mercato energetico del 2022, ha dichiarato una portavoce della Commissione.