La crisi climatica tra i principali rischi globali del 2025

Secondo il Global Risks Report 2025 del World Economic Forum, le conseguenze del cambiamento climatico rappresentano il principale pericolo da qui a 10 anni. Al momento soltanto gli effetti delle guerre in corso preoccupano di più.

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A lungo termine le questioni ambientali rappresentano il rischio principale per il pianeta, acuite da una crescente polarizzazione e da politiche frammentarie di risposta ai cambiamenti climatici.

La valutazione, fatta consultando oltre 900 esperti del mondo accademico, imprenditoriale, governativo, delle organizzazioni internazionali e della società civile, è contenuta nell’ultima edizione del “Global Risks Report” (link in basso), il sondaggio annuale del World Economic Forum (WEF) di Davos.

Il “rischio globale” di un evento o di una situazione è parametrato, nell’analisi, in base alla sua capacità di avere un impatto negativo su una parte significativa del PIL globale, della popolazione o delle risorse naturali.

La classifica dei rischi

Eventi climatici estremi, perdita di biodiversità, collasso degli ecosistemi e carenza di risorse naturali occupano le prime posizioni tra le principali preoccupazioni da qui a 10 anni, in una percezione che è andata via via peggiorando rispetto alle edizioni precedenti del report, come conseguenza della maggiore intensità e frequenza di fenomeni come grandi incendi, ondate di calore o inondazioni.

Seguono immediatamente due temi legati allo sviluppo tecnologico, come la disinformazione e le conseguenze negative dell’uso dell’Intelligenza artificiale, strettamente correlate alle questioni ambientali in quanto capaci di alimentare il negazionismo climatico.

In particolare la disinformazione è la principale fonte di preoccupazione in uno scenario di più breve termine, come quello a 2 anni, seguita comunque dagli eventi climatici estremi e, al terzo posto, dai conflitti armati tra Stati.

Questi ultimi rappresentano invece la maggiore criticità attuale secondo il campione, seguita sempre dagli eventi estremi. Tra le prime dieci risposte ce ne sono anche alcune di carattere sociale, come la polarizzazione o l’erosione dei diritti umani e delle libertà civili, oltre alla crisi economica.

Si tratta di elementi che ovviamente sono tutti fortemente interconnessi. Il 2024 ha ad esempio visto la prima storica sentenza della Cedu che ha sancito come la tutela dell’ambiente rientri nell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul rispetto della vita privata e familiare. La Svizzera è stata infatti condannata per non aver fatto abbastanza per proteggere i propri cittadini dal cambiamento climatico in seguito a un’azione legale intrapresa dall’associazione elvetica “Anziane per il clima”, supportata da Greenpeace Svizzera.

Allo stesso modo, le diseguaglianze economiche e sociali acuiscono (e vengono a loro volta acuite) dal cambiamento climatico. I Paesi meno sviluppati del mondo fanno ancora ricorso ai combustibili fossili per sostenere le proprie economie, ma sono anche quelli maggiormente esposti alle conseguenze degli eventi estremi e hanno meno risorse per programmi di mitigazione e prevenzione.

Alla COP29 di Baku i Paesi ricchi si sono impegnati a finanziare l’azione climatica di quelli in via di sviluppo con almeno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, una cifra molto distante dai 1.300 miliardi necessari stimati da un pool di economisti presenti lo scorso novembre in Azerbaijan.

Clima: una preoccupazione crescente

Dall’introduzione del Global Risks Report nel 2006, i rischi ambientali hanno scalato posizioni soprattutto nella classifica a 10 anni. Il grafico in basso mostra l’andamento del posizionamento degli eventi meteo estremi nel ranking negli ultimi 20 anni.

L’apprensione verso i disastri climatici attraversa peraltro tutte le generazioni: è al primo posto tra gli under 30 e al secondo posto (dopo le guerre) in tutte le altre fasce d’età, fino a oltre i 70 anni.

Nel report il giudizio viene anche allargato a una platea di oltre 11mila persone, le cui risposte sono divise per nazionalità e compongono l’Executive Opinion Survey, ideato dal World Economic Forum nel 1979 per fornire approfondimenti su aspetti critici dello sviluppo socioeconomico più difficili da misurare su scala globale.

Il dato sull’Italia rivela che nel nostro Paese la preoccupazione per gli eventi climatici estremi è al secondo posto. Al primo c’è la crisi economica, seguono poi temi ad essa connessi come l’inflazione, la carenza di manodopera e la povertà.

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