Metà del mondo non è contenta dell’accordo finale alla Cop29

I negoziati sulla finanza climatica sono un sostanziale fallimento: i paesi ricchi aiuteranno le economie in via di sviluppo con 300 mld $ l’anno entro il 2035, ma la richiesta era di 1.300. Nessun passo avanti sulle fossili.

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Questa volta è particolarmente difficile vedere la parte mezza piena del bicchiere. La ventinovesima Conferenza mondiale sul clima che si è chiusa sabato 23 novembre a Baku, in Azerbaijan, è stata segnata da divisioni sempre più profonde tra economie emergenti e paesi industrializzati, tra interessi degli Stati che continuano a investire in combustibili fossili (Azerbaijan in primis) e richieste delle nazioni più povere di essere maggiormente aiutate nella transizione verso le energie pulite.

Quindi il principale risultato della Cop29 è un obiettivo di finanza climatica che lascia l’amaro in bocca alle delegazioni di moltissimi governi.

È il punto 8 del New collective quantified goal on climate finance (pdf) o NCQG: i paesi sviluppati finanzieranno l’azione climatica di quelli in via di sviluppo con almeno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, che proverranno da un’ampia varietà di canali, pubblico e privato, bilaterale e multilaterale, “incluse le fonti alternative” di finanziamento.

Questa formula è volutamente ampia e generica: tutti possono contribuire; ma il denaro più utile sarebbe quello concesso sotto forma di sovvenzioni pubbliche a fondo perduto, non tramite prestiti, perché questi ultimi rischiano di gravare ulteriormente su economie già fragili e molto indebitate.

Mentre il punto 9 “incoraggia” i paesi che solo formalmente sono in via di sviluppo – il riferimento implicito è soprattutto alla Cina – a contribuire “su base volontaria” all’obiettivo dei 300 miliardi. Ricordiamo che il target precedente di finanza climatica era stato fissato alla Cop15 di Copenaghen nel 2009: 100 miliardi di $ l’anno, raggiunti solamente nel 2022.

La cifra di Baku, tra l’altro, è molto distante da quei 1.300 miliardi di $ l’anno calcolati dagli economisti Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern. È il denaro di cui avrebbero bisogno, secondo i tre esperti, le economie più vulnerabili al surriscaldamento globale e agli impatti degli eventi meteorologici estremi, come uragani, siccità e alluvioni.

Al punto 7 del testo si citano questi 1.300 miliardi, ma è uno specchietto per le allodole: si invitano “tutti gli attori a lavorare insieme per consentire l’aumento dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per l’azione climatica”, attingendo “da tutte le fonti pubbliche e private, ad almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035”.

Un invito a fare di più, dunque, senza impegni concreti né vincolanti. Eppure, quei soldi servirebbero tutti, consentendo al sud del mondo di investire in progetti e misure di adattamento ai cambiamenti climatici.

Per cercare di dare un po’ di concretezza in più agli impegni, il testo finale prevede una “Roadmap Baku-Belém” (Belém sarà la sede brasiliana della prossima Cop nel 2025) dove discutere come incrementare le risorse destinate alla finanza green.

“Speravo in un accordo più ambizioso”, ha dichiarato laconicamente il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.

Più duri i commenti delle associazioni ambientaliste.

Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, afferma in una nota che “l’accordo finale raggiunto alla Cop29 sulla finanza climatica è davvero pessimo” perché è un impegno “fortemente inadeguato che tradisce le rassicurazioni, fatte in questi 3 anni di faticosi negoziati, di garantire ai paesi più poveri e vulnerabili le necessarie risorse per decarbonizzare le loro economie e rispondere con mezzi adeguati ai sempre più frequenti e devastanti disastri climatici”.

Mentre Manuel Pulgar-Vidal, responsabile globale per clima ed energia del WWF, sostiene che “il mondo è stato tradito da questo debole accordo sui finanziamenti per il clima”, che “minaccia di far regredire gli sforzi globali per affrontare la crisi climatica”.

Energie pulite ai margini

Luca Bergamaschi, direttore di ECCO, il think tank italiano per il clima, sottolinea un altro sostanziale fallimento della Cop29.

“L’influenza degli interessi legati all’economia dei combustibili fossili, attraverso i Paesi produttori come Arabia Saudita e Russia e le imprese fossili, che insieme predicano la neutralità tecnologica per mantenere lo status quo, hanno prevalso […] bloccando le azioni necessarie per la transizione verde”, si legge in un commento.

A Baku, infatti, non c’è stato alcun passo avanti su un tema di fondamentale importanza per il clima: l’uscita dai combustibili fossili e la riduzione delle emissioni di CO2.

Finché la produzione e l’uso di carbone, petrolio e gas continueranno a essere sussidiati dai governi, finché le aziende continueranno a investire in nuovi progetti per estrarre idrocarburi, la transizione verso le fonti rinnovabili sarà ostacolata.

“La spinta verso false soluzioni, che vediamo fortemente anche in Italia su gas, biocombustibili e nucleare, blocca l’innovazione, mettendo a rischio la competitività industriale, e limita l’accesso sociale alla transizione a favore di pochi ma forti interessi economici”, evidenzia Bergamaschi.

Di contro, “con una semplificazione potremmo dire che abbiamo portato lo spirito del Piano Mattei nel dibattito della Cop29”, ha affermato il ministro italiano Gilberto Pichetto al termine dei colloqui di Baku. Abbiamo già scritto di quanto il Piano Mattei sia incentrato su tematiche come il gas, i biocombustibili e la neutralità tecnologica.

Di energia pulita si è parlato poco in Azerbaijan. Tra i risultati, da segnalare l’impegno globale sull’energy storage e sulle reti, che prevede di realizzare 1.500 GW di accumuli entro il 2030 (oltre sei volte il livello del 2022) e di costruire o ammodernare 25 milioni di km di reti elettriche entro la stessa data.

C’è stato anche il “Green energy pledge”, iniziativa volta a creare “zone di energia verde” che “fungono da hub centralizzati, dove la produzione di energia sostenibile viene massimizzata” combinando fonti rinnovabili, infrastrutture di rete e stoccaggi.

Come contesto, si cita l’impegno stabilito alla Cop28 di triplicare la capacità mondiale installata nelle fonti rinnovabili a 11mila GW entro il 2030, senza però definire alcuna misura concreta su come raggiungere tale traguardo.

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