E’ arrivata una doccia fredda su quella che nel 2021 era stata definita una “sentenza storica” per la giustizia climatica, con la vittoria degli ambientalisti contro Shell.
La Corte d’appello dell’Aia ha ribaltato il giudizio di primo grado, affermando testualmente che “Shell non può essere vincolata da uno standard di riduzione del 45% (o qualsiasi altra percentuale) concordato dalla scienza del clima perché questa percentuale non si applica a ogni paese e a ogni settore aziendale individualmente”.
I giudici hanno riconosciuto che è “ragionevole aspettarsi che le compagnie petrolifere e del gas tengano conto delle conseguenze negative di un’ulteriore espansione della fornitura di combustibili fossili per la transizione energetica […]. Gli investimenti pianificati da Shell in nuovi giacimenti di petrolio e gas potrebbero essere in contrasto con questo” (nella foto di Frank van Beek un momento della sentenza).
Nella sentenza “si stabilisce sulla base di fattori oggettivi che Shell ha l’obbligo di contrastare i pericolosi cambiamenti climatici”, ma “ciò non significa che il tribunale civile sia in grado di stabilire che Shell debba ridurre le proprie emissioni di CO2 del 45% o di qualsiasi altra percentuale”.
Nel 2018, ricordiamo, sette associazioni ambientaliste capitanate da Friends of The Heart Netherlands (Milieudefensie) hanno portato il colosso petrolifero olandese in tribunale, chiedendo di imporre all’azienda l’obbligo di ridurre del 45% al 2030 le sue emissioni nette globali di CO2, rispetto ai livelli del 2019.
La corte distrettuale dell’Aia nel 2021 ha dato ragione al fronte green, rimarcando il collegamento tra la produzione e fornitura di combustibili fossili e i cambiamenti climatici e dunque la responsabilità di Shell nel minacciare la violazione di alcuni diritti umani, come il diritto alla vita.
Nel commentare la sentenza in appello, il direttore di Milieudefensie, Donald Pols, ha dichiarato che “questo caso ha garantito che i grandi inquinatori non sono inviolabili e ha ulteriormente alimentato il dibattito sulla loro responsabilità nella lotta al pericoloso cambiamento climatico”.
Tra gli aspetti positivi della sentenza, secondo l’associazione, il riconoscimento della responsabilità individuale di Shell nel dover ridurre le emissioni di CO2. Inoltre, i giudici hanno evidenziato che l’esplorazione di nuove risorse oil&gas è in contrasto con gli accordi di Parigi sul clima.
Da parte sua, Shell in una nota sottolinea che “il nostro obiettivo di diventare un’azienda energetica a zero emissioni nette entro il 2050 rimane al centro della strategia […] e sta trasformando la nostra attività. Ciò include il proseguimento del nostro lavoro per dimezzare le emissioni delle nostre operazioni entro il 2030”.
La tesi dell’azienda è che “una sentenza della corte non ridurrebbe la domanda complessiva dei clienti per prodotti come benzina e gasolio per le auto, o per il gas con cui riscaldare e alimentare case e aziende. Farebbe poco per ridurre le emissioni, poiché i clienti porterebbero le loro attività altrove. Crediamo che le politiche intelligenti dei governi, insieme agli investimenti e alle azioni in tutti i settori, guideranno il progresso verso le emissioni nette zero che tutti vogliamo vedere”.