Crisi climatica, equità e soluzioni contradditorie

Partendo dalla tesi del recente libro di Amitav Ghosh, "La grande cecità", Karl-Ludwing Schibel affronta un tema delicato: se si è parte del problema climatico come si può esserne la soluzione? E dentro questa contraddizione ci sono anche gli ambientalisti dei paesi industrializzati.

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dalla rivista bimestrale QualEnergia (n.3/2018)

La tesi di Amitav Ghosh nel suo libro “The Great Derangement” (La grande cecità) è inquietante.

È convinto che quasi tutti gli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici non facciano altro che perpetuare l’esistente. «L’inazione globale riguardo al cambiamento climatico non è affatto la conseguenza di confusione o negazionismo o scarsa progettualità: al contrario, il progetto è il mantenimento dello status quo».

Non si può chiedere ai Paesi ricchi e meno ancora all’1 % dei super-ricchi che possiede il 50% della ricchezza globale di rinunciare ai loro privilegi, legati ai carburanti fossili, al potere e allo stile di vita di cui sono alla base.

«Ma poiché i cambiamenti climatici sono in atto, per mantenere quietudine e coesione sociale, scrive Ghosh, bisogna dare l’impressione che il problema è sotto controllo e che se ne occupano i massimi esperti per le misure tecniche e i leader per le soluzioni politiche con al centro le Cop delle Nazioni Unite».

Nei mesi precedenti all’appuntamento annuale, delegazioni dei Paesi presentano e discutono i prossimi passi per abbassare le emissioni di CO2, durante la conferenza i diplomatici lottano per ogni virgola e alla fine tutti si abbracciano in lacrime, come a Parigi nel 2015. Tutto uno spettacolo?

Il grande iconoclasta Trump sembra dimostrarlo. È al centro dell’attenzione quando firma la dichiarazione finale del G7 in Canada. Il grande sollievo di aver evitato in extremis il rischio di un incontro senza dichiarazione comune però naufraga poco dopo. Il presidente americano ritira la sua firma con l’effetto che di nuovo si parla di lui. Il contenuto della dichiarazione, l’effetto che questo gesto simbolico potrebbe avere sulla realtà, sul futuro del mondo, non riceve la minima attenzione.

Potrebbe nascere il sospetto che questa dichiarazione non farà nella realtà nessuna differenza e la paura è che ciò possa essere vero per l’accordo di Parigi.

Le lacrime di commozione dei delegati si sono asciugate e, guardando il documento a distanza di 30 mesi, la domanda che sorge legittima è: che differenza farà per affrontare il caos climatico e che differenza farà il ritiro degli Stati Uniti.

Altra occasione in cui Trump è riuscito ad attirare l’attenzione del mondo? Probabilmente poca. Il che non significa minimamente che l’accordo di Parigi sia irrilevante, ma che ha gravi difetti da tenere presenti, senza la speranza che siano rimediabili nel breve periodo e che le aspettative sia dei critici sia dei sostenitori, per quanto riguarda il suo ruolo nell’affrontare i cambiamenti climatici, siano sbagliate.

L’accordo di Parigi si rifiuta (per ovvie ragioni) di riconoscere la reale sconveniente verità: il caos climatico è intimamente connesso con potere e ricchezza in un mondo, dove cresce l’inuguaglianza.

Laudato Si’ non ha problemi nel sottolineare questa semplice verità che i cambiamenti climatici sono inseparabili dal distacco in aumento tra ricchi e poveri, tra chi ha il potere per agire e quelli che subiscono.

Il 50% più povero del mondo, 3,5 miliardi di persone, è responsabile per il 10% delle emissioni, il 10% più ricco contribuisce al 50% delle emissioni ­ e, a quest’ultimo gruppo, appartiene la quasi totalità del mondo ambientalista.

Non è moralismo né meschinità dirigere l’attenzione verso l’impronta di carbonio delle persone che lottano per la decarbonizzazione dell’economia e della società, ma potrebbe essere il punto di partenza per una riflessione sulla grande cecità che Amitav Ghosh lamenta che non è solo quella altrui, ma anche di coloro che si impegnano per un clima vivibile.

articolo originariamente pubblicato con il titolo “Equità e caos climatico” (QualEnergia – n.3/2018)

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