Cosa pensano veramente i negazionisti climatici?

Una ricerca antropologica nel profondo sud degli Stati Uniti ci racconta atteggiamenti, motivazioni e contesto politico-culturale di chi nega con forza la crisi climatica. Un'analisi interessante anche per noi europei. Eppure, uno spiraglio per una svolta razionale ci sarebbe.

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Negli ultimi anni sembravano spariti, sommersi dalla valanga di eventi climatici estremi che ha colpito il mondo, ma ora riemergono, con il consueto mix di vittimismo e arroganza.

Sono i negazionisti climatici, quelli che pervicacemente insistono nel negare l’evidenza, indifferenti ai ghiacciai che scompaiono, agli incendi fuori misura, alle isole sommerse, alle siccità interrotte da catastrofiche alluvioni, alle prolungate e insopportabili ondate di calore.

Voci che speravamo ormai silenti, stanno invece risuonando sempre più forti, sia in Italia, grazie anche a un governo che ha portato alla ribalta una bella manciata di politici negazionisti, sia nel mondo, vista la possibilità di far diventare le difficoltà economiche il grimaldello per far tornare l’azione climatica un “lusso che non ci possiamo permettere”.

Esattamente come indicano da sempre quegli istituti, fondazioni e think-tank vari, spesso finanziati dall’industria oil&gas&coal, che forniscono a getto continuo materiale pseudoscientifico per abbeverare il clima-negazionismo.

Tuttavia, per ora non sembrano aver avuto un grande successo: in Italia i negazionisti climatici dichiarati sarebbero solo il 16%, anche se c’è un’area grigia di circa un terzo del totale che invoca un’azione ambientale “prudente”, cioè che non mandi all’aria lo standard di vita del nostro paese.

Anche negli Usa, di fronte all’evidenza dei fatti, le persone che ritengono reale il cambiamento climatico sono passate dal 50 al 70%.

Una ricerca antropologica

Forse anche per questo l’antropologa Susannah Crockford, dell’università britannica di Exeter, ha deciso di fare un viaggio in Louisiana, Missouri, Mississippi e Arizona, tutte aree a forte prevalenza repubblicana, per capire cosa motivi questa parte della popolazione statunitense a restare su posizioni così anacronistiche.

“Nel mio viaggio ho evitato ogni atteggiamento ‘giudicante’ e ho deciso di farmi accompagnare da mia madre, che è anche pastore anglicano, e da mia figlia, per risultare più normale e non minacciosa, agli occhi degli abitanti delle zone rurali  con cui volevo parlare, che in genere vedono con grande sospetto e fastidio gli intellettuali che vengono a dirgli come devono vivere”, ha scritto Crockford Ethnos, rivista di antropologia.

I risultati che ha ottenuto, pur con la tara di riferirsi a un contesto sociale, culturale e politico ben diverso da quello europeo, sono interessanti anche per noi.

Il primo fenomeno che la Crawford ha notato è il cosiddetto “empirismo radicale”, cioè ritenere che anche per giudicare fenomeni tanto complessi basti la propria esperienza personale.

“Così un pescatore della Louisiana, che si lamentava dell’erosione delle coste e delle ormai continue inondazioni, aveva concluso che, secondo lui, non c’era nessun cambiamento climatico, perché, a occhio, il livello dell’acqua al suo molo gli sembrava sempre lo stesso. E pur ammettendo che il caldo estivo sembrava più opprimente, attribuiva il fatto che stava diventando più vecchio”, dice Crawford.

Un altro curioso atteggiamento in Lousiana, si potrebbe definire invece “stoico”. “Lo Stato è un grande produttore di petrolio e gas, e le persone comuni hanno spesso sofferto molto per gli effetti provocati da queste industrie. Eppure, reputano un loro dover ‘sacrificarsi’ per rifornire il mondo di energia. I discorsi sul cambiamento climatico sembrano per loro vergognosi e irresponsabili piagnucolii”, sottolinea la ricercatrice inglese.

Un terzo aspetto del negazionismo locale, molto meno presente, almeno in modo esplicito, dalle nostre parti, è quello religioso.

“Per molti la regolazione dei grandi sistemi della Terra non riguarda l’uomo, ma Dio. Se il clima è sbilanciato è per la sua volontà e ci penserà lui a rimediare”, racconta l’antropologa. “Ci ricordano che secondo la Bibbia, la Terra è stata assegnata da Dio all’uomo, che ne può disporre a volontà. In questa ottica ogni limitazione all’azione umana sulla Natura, basata sul timore di danneggiarla, costituisce una mancanza di fiducia nelle capacità di Dio di rimediare ai nostri errori, e quindi si può considerare blasfema, agli occhi di molti che ho sentito”, spiega Crawford.

Esiste pure una versione laica di queste argomentazioni, che riscontriamo anche dalle nostre parti: si mette la Natura al posto di Dio, e si conclude che l’uomo è troppo debole per mutare il clima, e quindi non può essere il responsabile del global warming. “I vulcani sono molto più importanti”, ha detto un intervistato.

Obiezioni più preoccupanti, per il loro potere divisivo sulla società, la ricercatrice le ha poi incontrate partecipando a un raduno del partito Repubblicano in Arizona.

Nonostante questo Stato sia nel mezzo di una gravissima siccità e tormentato da un’interminabile ondata di calore, qui il tema del clima è un argomento prettamente ideologico.

“Durante il raduno – ricorda l’antropologa – la questione in realtà non è stata affrontata, ma quando sono andata a fare delle domande ad alcuni dei partecipanti, ho notato che fra queste persone più politicizzate era frequente l’idea che le tematiche ambientalista-climatiche, fossero una congiura da parte dei Democratici, per introdurre il socialismo negli Usa”.

“Oppure, peggio ancora, che sì, il clima cambia perché il governo riempie l’aria di scie chimiche che intrappolano il calore, così da rovinare la vita alle persone, e spingerle ad accettare limitazioni alla loro libertà. Per loro cosa dice la scienza non ha la minima importanza, perché è essa stessa complice di queste cospirazioni dell’establishment”.

Tutti queste opinioni sono poi amplificate e rinforzate da un ambiente mediatico-politico alimentato dalle citate organizzazioni filo-combustibili fossili, che diffondono notizie negazioniste sul clima, volte a confermare nelle persone l’idea di essere parte di una comunità di giusti, assediata da un mondo che vuole stravolgere il loro modello di vita, proprio con la scusa della crisi climatica.

“Questa è la vera chiave unificante delle varie costruzioni mentali che usano per negare l’evidenza della crisi climatica, nonostante ciò che accade intorno a loro: quel cambio di paradigma culturale è troppo drastico e doloroso da accettare, per cui è meglio rifiutarlo”, sintetizza Crawford.

In pratica, i negazionisti Usa, per lo più appartenenti alla classe media bianca, sono abituati a considerare l’America il faro del mondo, ed è il loro duro lavoro ciò che l’ha resa grande. Il dover accettare che l’economia capitalista e liberista, stia invece distruggendo l’ambiente, e che quindi loro ne siano complici, è un ribaltamento di prospettiva troppo difficile da ingoiare.

Meglio autoconvincersi che il fenomeno non esista, che sia naturale o di origine divina, oppure che addirittura sia tutto un complotto, e il fatto che alcuni mass media e personalità autorevoli, dal pastore al rappresentante al Congresso, gli spiegano che è proprio così, li rassicura, rinforzando questo loro atteggiamento.

C’è un modo per arruolarli alla causa?

“Forse però tutte queste persone non sono completamente perdute alla razionalità dell’azione contro il cambiamento climatico”, conclude Crawford. “Probabilmente non si lasceranno mai convincere dai climatologi, ai loro occhi intellettuali anti-americani, e neanche dalle previsioni catastrofiste, che contrastano con la loro quotidianità. Ma potrebbero apprezzare una chiamata all’azione nel nome della grandezza e sicurezza degli Usa”.

In altre parole, cosa c’è di più autarchico e sicuro dell’autoprodursi in casa tutta l’energia che serve, usando le fonti rinnovabili?

Non solo sono illimitate, ma svincolano anche l’economia statunitense dal mercato mondiale del greggio, che è nelle mani di potenze ostili, come russi e sauditi, e che, come si vede proprio in questi giorni, ne fanno salire il prezzo a piacimento per i propri interessi, a scapito di quelli americani.

Finora si poteva obbiettare che i dispositivi per le rinnovabili provenivano per lo più dal “nemico cinese”, ma con il piano Biden Inflation Reduction Act, tra qualche anno pannelli solari, turbine eoliche e batterie saranno in gran parte Made in Usa.

Forse a quel punto, con l’esaurirsi dei giacimenti statunitensi di idrocarburi, assisteremo a una clamorosa inversione di prospettiva? Potremo sentire: ‘se sei un Vero Americano patriottico utilizza il solare, l’eolico, le auto elettriche e le pompe di calore!’

Magari, riposizionata in questo modo, l’azione contro il cambiamento climatico, che ha nella transizione energetica il suo cuore, diventerà più accettabile per la gente del sud degli Stati Uniti. E, chissà, persino per i negazionisti e sovranisti di casa nostra.

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