Come fare dell’Italia un paese per le rinnovabili

Una riflessione sulla transizione energetica nazionale di Alessandro Migliorini di European Energy.

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articolo a cura di Alessandro Migliorini (Director, Country Manager Italy and Director of the Italian Companies dell’investitore danese European Energy A/S), sponsorizzato da European Energy

Il mercato italiano delle rinnovabili ha un enorme potenziale a cui ancora non riesce a dare piena voce.

Ci sono alcune azioni necessarie a invertire questa inerzia pericolosa per lo sviluppo economico e per il miglioramento della qualità di vita del nostro Paese.

Con i ritmi di crescita attuali, nel 2030 l’Italia riuscirà a raggiungere solo il 25% degli obiettivi climatici, centrando quell’obiettivo di 85 GW di rinnovabili in circa 40 anni. 

Siamo in grandissimo ritardo ed esitiamo quando gli altri accelerano: il mix energetico globale sta passando velocemente dalle fossili alle rinnovabili, lasciando un ruolo a gas o nucleare per gli aspetti della densità energetica. Oltre alla questione della sostenibilità va considerato anche l’aspetto economico: entro il 2030 gli investimenti cumulativi legati alle rinnovabili e tecnologie di transizione ammonteranno a 44.ooo miliardi di dollari.

Il vero punto chiave, quello che in Italia ancora non viene percepito, è la velocità di questo processo: nel 2023 sono previsti 440 GW di nuove installazioni di fotovoltaico a livello mondiale, ben 107 GW in più rispetto al 2022.

Ci troviamo di fronte all’aumento più consistente di sempre (fonte: Iea). Il settore dello “storage”, complementare e risolutivo all’intermittenza di fotovoltaico ed eolico, evolve rapidamente colmando un limite fin troppo strumentalizzato dai conservatori delle fossili: autorevoli studi prevedono circa 35mila miliardi di dollari di investimento nei prossimi 7 anni a livello globale.

Stiamo parlando di investimenti, sviluppo economico e industriale che intercetteranno i paesi che cavalcheranno il cambio di mix energetico, acquisendo, non per un anno ma per decenni, un vantaggio competitivo in termini di costi energia, emissioni e filiera industriale.

E in Italia? Nonostante il perenne ritardo autorizzativo, gli investimenti programmati nel 2022 da tutte le imprese italiane e straniere delle rinnovabili si aggirano sui 41 miliardi di euro. Ma potrebbero crescere di più.

Si tratta, in prospettiva, di adeguare le reti, costruire opere civili, immaginare e pensare la filiera di studi tecnici, esperti e manutentori. Vanno innovati il riscaldamento degli immobili, la mobilità, lo shipping e la produzione industriale energivora.

In Italia, ci sono troppi ritardi, blocchi e indecisioni con il risultato che ad oggi, 3 progetti su 4, sono ancora in attesa di autorizzazioni. Se prendiamo la classifica europea per tasso di crescita medio delle rinnovabili al 2022, la penisola risulta al posto 22° posto, sopravanzata da “vicini” e “competitor” come Portogallo, Spagna e Grecia. Il cambio di passo degli ultimi mesi va confrontato con l’immobilismo degli ultimi anni, e fare meglio non era poi così difficile.

Per rispettare i traguardi al 2030 dovremmo aumentare, a partire da oggi, di circa 8 volte la velocità di sviluppo e connessione di impianti di fotovoltaico ed eolico. Ritardare sui traguardi del green deal europeo significa non attrarre investimenti esteri e, rallentando la trasformazione culturale del paese, rischiare di confondere i cittadini su quello che vogliono e di cui hanno bisogno.

Ad esempio, siamo sicuri che la percentuale di vendite di auto elettriche in Italia (BEV) sul totale, pari a circa il 7%, la metà della Germania, non dipenda anche da un atteggiamento culturale di ostracismo al mondo green? Le auto elettriche hanno senso compiuto se alimentate da energia pulita e lo stesso vale per gli altri mezzi di trasporto.

Le industrie italiane per crescere e competere devono contare su prezzi dell’energia certi e concorrenziali, come quelli garantiti da contratti PPA. Il mondo dell’agricoltura tramite l’agrivoltaico potrebbe innovare e garantire una produzione di qualità superiore, in linea con la vocazione del nostro Paese.

Per svoltare occorre cambiare attitudine ed essere concreti: politica, stakeholder, organi di informazione, aziende e mondo dell’associazionismo devono lavorare insieme. Solo così riusciremo a trasformare l’Italia in un campione delle applicazioni intelligenti e innovative delle energie pulite. Oggi, spiace dirlo, l’Italia non è un paese per le rinnovabili. Il primo passo, a mio avviso, è adottare un atteggiamento “inclusivo”.

L’agricoltura ha un peso importante sia sul Pil che sull’immagine del nostro paese che vanta eccellenti prodotti tipici; sfruttare l’agrivoltaico che concilia temi centrali come risparmio idrico e consumo del suolo unito alle coltivazioni o allevamenti di pregio sarebbe un iniziale approccio positivo.

Paradossalmente per sviluppare gli 85 GW di rinnovabili al 2030 indicati dal piano REPowerEU, si occuperebbe solo lo 0,6% della superficie agricola nazionale con il vantaggio, applicando la tecnologia dell’agrivoltaico, di innovare addirittura la filiera.

Passando al mondo industriale occorre pensare a progetti di mercato, che vivano senza incentivi e che producano grandi quantità di energia pulita vicino a dove serve, sviluppati da operatori non improvvisati.

Rimane essenziale lavorare in “partnership” con utilities e aziende, come abbiamo fatto in European Energy con IREN (European Energy cede a Iren 39 MW di progetti fotovoltaici “ready to build” nel Lazio), selezionando tecnologie innovative e, in prospettiva immediata, pensando sempre più in ottica di filiera.

Mi riferisco allo stoccaggio di CO2, all’idrogeno e ai biocarburanti perché, in attesa del 2050, occorre attuare la transizione senza bloccare l’economia. Sull’idrogeno ad esempio l’Italia si è data obiettivi ambiziosi ed è una piattaforma fondamentale per lo shipping e carburanti puliti. E per fare idrogeno pulito servono le rinnovabili.

Come European Energy, nel Nord Europa stiamo già utilizzando la tecnologia Power-to-X e sperimenteremo la produzione di carburanti e plastiche green accordandoci con grandi player come Maersk e Lego (E-metanolo, accordo tra European Energy con Lego e Novo Nordisk).

Poi c’è l’economia del mare, che vale il 25% del Pil italiano. Anche qui occorre essere inclusivi e integrati sostenendo con impianti di energia pulita il cold ironing, le navi elettriche e la produzione cantieristica: il Paese è la porta del mediterraneo per la logistica ed è direttamente collegato al Nord Europa.

Considerando che lo shipping pesa a livello mondiale il 3% in termini di emissioni complessive, non vediamo alternativa a floating fotovoltaico ed eolico offshore per produrre energia pulita vicino ai grandi porti decarbonizzando il settore e sostenendone la crescita. Le aree ci sono, volendole individuare.

La verità è che le energie rinnovabili sono, oggi, l’unica piattaforma green pronta e integrabile con la filiera industriale in grado di riconciliare sviluppo e decarbonizzazione: dal riscaldamento domestico, per cucinare o guardare la tv, ai trasporti sia privati che pubblici fino alla logistica.

L’Italia non è ancora un paese per le rinnovabili, ma, a patto di farlo in fretta, ha tutte le carte in regola per diventarlo.

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