Colossi petroliferi, chi si sta preparando e chi no alla transizione

Equinor, Total, Shell, Eni: le società oil&gas europee sono quelle che investono di più in energie alternative, ma non mancano le zone d’ombra.

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Quali sono le società petrolifere che investono di più in fonti rinnovabili?

A questa domanda cerca di rispondere il nuovo rapporto di Carbon Disclosure Project (CDP), l’organizzazione internazionale no-profit che supporta governi, istituzioni e aziende nel pubblicare i dati sugli impatti ambientali delle loro attività e nel gestire i conseguenti rischi finanziari.

Nel documento Beyond the cycle (sintesi allegata in basso), CDP ha classificato 24 delle maggiori compagnie mondiali oil&gas, che nel complesso valgono il 31% della produzione planetaria di queste due risorse fossili.

Per stilare la graduatoria, CDP ha considerato molteplici indicatori e parametri, tra cui: produzione e riserve accertate di oro nero e gas, emissioni “fuggitive” di metano da pozzi e gasdotti, stress idrico (vedi anche QualEnergia.it), investimenti in tecnologie pulite, definizione di obiettivi per ridurre le emissioni nocive, esposizione al rischio di stranded asset (impianti non più remunerativi, messi fuori gioco da leggi più severe contro l’inquinamento atmosferico, dalla concorrenza delle rinnovabili o da un mix di questi fattori).

La tabella seguente riassume i risultati delle analisi (clicca sopra per ingrandire).

La società più preparata ad affrontare un sistema energetico-economico meno centrato sui combustibili fossili è la norvegese Equinor, seguita da Total, Shell e dalla nostra Eni

Quest’ultima, lo scorso luglio, aveva fatto discutere sull’effettiva possibilità di raggiungere la “neutralità carbonica” proposta dall’amministratore delegato, Claudio Descalzi, con un “annuncio epocale” in termini di obiettivi che dovrebbe arrivare entro la fine del 2018.

Al fondo della lista troviamo Marathon Oil (Stati Uniti), Rosneft (Russia) e CNOOC (Cina).

Nel complesso, evidenzia il rapporto, le imprese oil&gas europee sono quelle maggiormente impegnate sul fronte climatico, perché ad esempio favoriscono la produzione e l’utilizzo di gas naturale a scapito del carbone e aumentano i fondi per lo sviluppo di risorse più “verdi”.

Ci sono però molte zone d’ombra.

Innanzi tutto, chiarisce il documento, le 24 società citate da CDP, dal 2010 a oggi, hanno investito in totale circa 22 miliardi di dollari in energie alternative, ma la loro spesa in tecnologie low-carbon rimane bassa, stimata a poco più dell’uno per cento del CAPEX 2018.

Poi in molti casi è difficile capire se una determinata azienda stia davvero cambiando pelle, orientandosi verso un mix energetico sempre più lontano da petrolio, gas e carbone, o stia facendo solamente del greenwashingsenza modificare nella sostanza le sue attività principali (vedi QualEnergia.it sul futuro scenario energetico tracciato da BP).

Alcuni colossi petroliferi poi sono stati accusati di mentire ai loro azionisti: di recente, il procuratore generale dello Stato di New York, Barbara Underwood, ha denunciato lo “schema fraudolento” che ExxonMobil – agli ultimi posti della tabella elaborata da CDP – avrebbe orchestrato ai danni degli investitori sottovalutando consapevolmente il futuro impatto economico di norme ambientali più severe.

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