Il nostro Pianeta rischia di diventare esageratamente caldo, una vera e propria serra, “Hothouse Earth” nella definizione data da un gruppo internazionale di scienziati, in una recente pubblicazione sul possibile futuro climatico della Terra (Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, documento completo allegato in basso).
In una nota divulgativa, diffusa dall’Università di Stoccolma, si legge che un simile Pianeta avrebbe delle condizioni ambientali davvero estreme, perché le temperature medie globali sul medio-lungo termine andrebbero a stabilizzarsi intorno a +4-5 gradi centigradi rispetto all’età preindustriale, mentre il livello dei mari salirebbe di circa 10-60 metri in confronto a oggi.
Tanto che molte zone geografiche diverrebbero inabitabili o quasi.
Uno scenario simile è davvero credibile?
Negli ultimi mesi, in un’estate particolarmente afosa in Italia e in Europa, abbiamo assistito a diversi eventi climatici estremi, così classificati per l’intensità dei fenomeni, tra cui ondate di calore, siccità, precipitazioni improvvise e abbondanti (bombe d’acqua).
Secondo gli autori dello studio, anche ammettendo di riuscire a ridurre le emissioni di gas-serra come previsto dagli accordi di Parigi sul clima, con l’obiettivo di limitare il surriscaldamento globale a 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, non è detto che il mondo in cui viviamo sarà fuori pericolo.
Difatti, evidenziano gli scienziati, l’impennata delle temperature potrebbe innescare un effetto domino con conseguenze devastanti.
In altri termini: il surriscaldamento terrestre indotto dall’uomo con le sue attività, in primis l’utilizzo di combustibili fossili, potrà scatenare una serie di processi climatici, i cosiddetti feedback naturali, che potranno a loro volta contribuire alla crescita delle temperature, amplificando gli effetti del global warming.
Si parla, nello specifico, di dieci feedback, tra cui lo scioglimento del permafrost, l’abbattimento delle foreste amazzoniche e boreali con conseguente perdita di specie vegetali (con la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica), la riduzione dei ghiacci polari e delle coperture nevose nell’emisfero settentrionale.
La domanda è: fino a che punto l’uomo potrà mettere sotto stress questi processi?
Oltre una certa soglia di surriscaldamento globale, raggiunta in prima battuta a causa delle elevate concentrazioni di CO2 nell’atmosfera, avvertono gli autori del documento, uno dei feedback potrà originare una successione di eventi “a cascata” (vedi lo schema sotto), legati uno all’altro, portando il nostro Pianeta verso uno stato climatico completamente diverso da quello precedente.
In sintesi: la Terra diventerà sempre più calda.
Va detto che è molto difficile prevedere come risponderanno i vari ecosistemi alle mutate condizioni climatiche. Entriamo nel campo della “sensitività climatica” (climate sensitivity): in particolare, quanto saliranno mediamente le temperature superficiali con un raddoppio delle emissioni di gas-serra?
Tra l’altro, ci sono feedback veramente complessi da esaminare nell’ambito dei modelli climatici, pensiamo soprattutto alla conformazione degli strati nuvolosi e alla quantità di vapore acqueo presente nell’aria (vedi QualEnergia.it per approfondire questo punto: Clima e gas-serra: quanto sarà grave il surriscaldamento globale?).
“Quello che ancora non sappiamo”, spiega il direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, Hans Joachim Schellnhuber (uno degli autori dello studio citato, traduzione nostra dall’inglese), “è se il sistema climatico potrà essere parcheggiato in modo sicuro intorno a 2 gradi centigradi sopra i livelli preindustriali […] o se scivolerà verso un Pianeta-serra”.
Di certo, rimarcano gli scienziati, per avere maggiori possibilità di evitare un eccessivo aumento delle temperature, sarà necessario non solo tagliare rapidamente e costantemente le emissioni di CO2, ma anche potenziare (e creare nuovi) bacini naturali in grado di trattenere l’anidride carbonica, foreste soprattutto, oltre a sviluppare tecnologie per rimuovere la CO2 in eccesso dall’atmosfera e stoccarla nel sottosuolo.
Un tema, quest’ultimo, bersagliato da moltissime incognite e altrettante perplessità, in particolar modo sulla fattibilità tecnico-economico di sistemi CCS e BECCS su vasta scala (Carbon Capture and Storage/Bioenergy with CCS) e sulla loro effettiva capacità di garantire i risultati ipotizzati (vedi anche QualEnergia.it: Ridurre le emissioni di CO2 non basterà: dovremo anche rimuoverle).
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