Carbone, occupazione ed eolico offshore a Civitavecchia

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La probabile crisi occupazionale per la prossima chiusura della centrale a carbone di Civitavecchia potrebbe essere assorbita dallo sviluppo da un primo progetto di centrale eolica offshore. Vediamone alcune implicazioni e problematiche.

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Fusse che fusse la vorta bbona…”, direbbe Nino Manfredi se fosse ancora fra noi e se si interessasse di transizione energetica.

Infatti, da una crisi occupazionale che presto si aprirà a Civitavecchia, potrebbe arrivare lo sblocco al primo impianto eolico offshore d’Italia (a parte il mini impianto da 30 MW installato davanti all’Ilva di Taranto).

Ci racconta la storia Alex Sorokin, ingegnere e consulente energetico, che da quelle parti abita e che ha dato una mano a suscitare l’attenzione dei vari responsabili politici e sindacali su una possibile soluzione alla necessità di trovare anche una ricollocazione dei 1000 occupati della centrale elettrica di Civitavecchia da 1.000 MW alimentata a carbone.

“L’Italia si è impegnata a uscire dal carbone entro il 2025, e quindi anche quell’impianto dovrà chiudere. In questi anni, però, non è stato previsto nessuno sbocco occupazionale alternativo per quei lavoratori, a parte proporre una conversione a gas della centrale, a cui Enel ha rinunciato nel 2023, anche per la forte opposizione della popolazione della città, stanca da 70 anni di inquinamento portato dalla combustione di fossili nel suo territorio”, ci ricorda Sorokin.

Eppure, stavolta un’alternativa non fossile, a gas o carbone, esisterebbe.

Ci dice Sorokin: “Un anno fa una cordata imprenditoriale, formata dai danesi della Copenhagen Infrastructure Partners, specializzati in impianti eolici in mare, Eni Plenitude e Cassa Depositi e Prestiti, ha depositato un progetto al Ministero dell’Ambiente per un impianto eolico offshore galleggiante, posto 30 km al largo di Civitavecchia, ancorato a fondali di 100-200 metri. L’impianto potrebbe costituire una valida alternativa per l’occupazione locale che ruotava intorno al carbone”.

L’impianto offshore consisterebbe in un primo lotto da 540 MW, cioè 54 turbine da 10 MW l’una, montate su speciali galleggianti frutto del progetto danese, che consentirebbero l’assemblaggio delle turbine in porto, e poi il loro traino al largo.

Un cavo connetterebbe l’impianto eolico alla sottostazione di Civitavecchia, così che l’elettricità generata dal vento prenda il posto di quella del carbone.

Però 540 MW di eolico dovrebbero produrre circa 1 TWh annuo di energia, forse un quarto di quella che può fornire una centrale termica di quella stazza…

“Non proprio – replica Sorokin – perché, a parte qualche periodo legato alla crisi provocata dalla guerra in Ucraina, la centrale di Civitavecchia lavora già da tempo a circa un terzo della propria capacità. Inoltre, una volta terminato il primo lotto, il progetto prevede l’installazione di altri due impianti eolici offshore per 1.500 MW, più vicini ad Olbia ma sempre connessi al cavo verso Civitavecchia. La loro produzione complessiva, alla fine, dovrebbero aggirarsi sui 5 TWh annui, molto più di quella attuale della centrale a carbone”.

Tre impianti eolici offshore con centinaia di turbine per un totale di circa 2 GW richiederanno per la loro realizzazione molti anni di lavoro. I promotori stimano almeno fino al 2031, e altra occupazione servirà per la manutenzione. 

“E ancora di più ne arriverebbe se, come abbiamo prospettato ad Enel, si userà la vecchia centrale per ospitare un grande sistema di accumulo termico, in cui l’energia elettrica in eccesso viene stoccata come calore ad alta temperatura, poi usato per far muovere le turbine quando la domanda aumenta. Anche questa ipotesi, fra costruzione e funzionamento, assorbirebbe molti altri operai e tecnici”.

Bene, ma siamo sicuri che il mare al largo di Civitavecchia sia abbastanza ventoso? In genere per l’eolico offshore si punta su aree come l’ovest della Sardegna e il canale di Sicilia.

“I proponenti hanno ovviamente verificato i dati di ventosità, senza però renderli pubblici. Evidentemente li avranno considerati nei loro calcoli di rientro dall’investimento”, dice Sorokin.

Quindi questa dell’eolico offshore a Civitavecchia sembrerebbe una soluzione win-win: via il vecchio, dentro il nuovo, stessa occupazione e meno inquinamento. Ma qui, come si dice, casca l’asino, anzi due asini.

Il primo asino a rotolare è il fatto che installare un impianto eolico offshore non è come costruirne uno fotovoltaico. Servono grandi infrastrutture e logistica, come strutture per costruire e montare le torri e i galleggianti a partire da enormi tubi di acciaio, banchine esclusive nel porto, depositi per una grande quantità di materiale, e così via, oltre all’affitto di navi specializzate, prenotate con mesi o anni di anticipo.

Tutte cose che in Italia non esistono, né a Civitavecchia né per gli eventuali altri 90 GW di impianti eolici offshore di cui è stata fatta domanda di connessione in Italia.

“Se mi avesse fatto questa obiezione qualche giorno fa, le avrei dato ragione dicendo che rischiamo di perdere questa occasione per il disinteresse della politica, che non sta pensando alle infrastrutture necessarie”.

Ma il 23 gennaio, un emendamento governativo approvato durante la conversione in legge del Dl Energia 181/2023, ha previsto all’articolo 8 (comma 1 e 2) finanziamenti e facilitazioni per attrezzare per l’eolico offshore alcuni porti italiani, a partire da quelli dove verranno chiuse le centrali a carbone, come Civitavecchia e Brindisi.

“Bisogna dare atto al governo che, anche se con un certo ritardo, ha capito la necessità di intervenire in questo settore se si vuole fare sul serio una transizione ecologica in Italia e anche intercettare gli investimenti che attrarrà un settore così innovativo”, dice l’esperto.

La costruzione in questi porti di un “retroterra” adatto all’installazione di eolico galleggiante offrirà anche la possibilità di farli diventare degli hub per la realizzazione di questo tipo di impianti, anche per tutto il bacino del Mediterraneo, aprendo notevoli prospettive industriali e occupazionali.

Non mancano certo in Italia aziende e competenze che potrebbero far partire velocemente questo nuovo settore, basti pensare a Fincantieri o Snam.

Quindi non c’è che sperare che si passi velocemente dalle carte alle opere. Purtroppo, però, a far sorgere dei dubbi, resta il secondo asino caduto, una nostra vecchia conoscenza, il desaparecido più famoso del mondo delle rinnovabili italiane: il Fer2, fantomatico decreto del Ministero dell’Ambiente, promesso ormai da sei anni, che, nonostante riguardi il periodo 2021-2026, ancora non ha visto la luce.

In questo decreto verranno fissate le tariffe incentivanti per le rinnovabili elettriche diverse da FV ed eolico a terra, che, in sua assenza, continuano a restare in un limbo di incertezza, che ne blocca la realizzazione.

Le ultimissime novità parlano di 185 €/MWh come tariffa di riferimento per l’eolico offshore, ma con una potenza massima incentivabile piuttosto bassa, appena 3,8 GW (200 MW per il galleggiante).

“In effetti se i proponenti dell’impianto di Civitavecchia non sanno quanto potranno incassare vendendo i MWh prodotti con l’eolico offshore, come si può sperare che concretizzino il loro impegno? Senza quel numero non si possono fare piani finanziari credibili, e ottenere i necessari capitali. Quindi si spera ardentemente che sia rispettata l’ultima data fornita dal Ministero per l’approvazione: entro fine marzo, passato l’esame della Ue, il decreto Fer 2 dovrebbe entrare in vigore”, auspica Sorokin.

Non c’è che da sperare che tutti gli astri si allineino, e si proceda con questo impianto.

Certo, fino a qualche giorno fa l’umore a Civitavecchia circa la possibilità che si arrivasse veramente a questa soluzione dava sul nero, per l’ostilità o il silenzio di vari attori istituzionali e politici, compresa, ma questo era scontato, la Soprintendenza, che aveva motivato il suo “No” preventivo in modo un po’ surreale: “le pale eoliche avrebbero rovinato il paesaggio marino ai crocieristi”.

Ma per fare la transizione energetica adesso bisogna pure chiedere il permesso ai turisti?

L’impressione era che si volesse traccheggiare per arrivare al 2025 senza alternative, così da chiedere una proroga alla chiusura della centrale a carbone per “motivi occupazionali”.

Ma forse era un eccesso di pessimismo che sembra scongiurato, se poi assisteremo ad una vera e chiara volontà politica di aprire la stagione dell’eolico offshore anche in Italia, quando in altri paesi del Mediterraneo (Francia e Spagna) si già preparando il terreno in questa direzione.

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