Carbone, la Spagna ha chiuso più di metà del suo parco centrali

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Motivi economici stanno accelerando l'uscita di scena di questa fonte, prevista da Madrid per il 2030.

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Il declino del carbone in Europa continua e dietro il suo pensionamento non ci sono solo motivazioni ambientali, ma anche economiche.

Se in Italia questa fonte in questi giorni è ai minimi storici sul mercato elettrico e il nostro paese si è impegnato a chiudere con questo combustibile entro il 2025, questa settimana è stata la Spagna a compiere un balzo in avanti verso l’uscita dal carbone.

Martedì infatti si è fermata definitivamente oltre metà della potenza elettrica a carbone spagnola: sono state chiuse sette centrali per un totale di 5,1 GW, ne restano operative sei per 4,7 GW.

I sette impianti spenti sono Compostilla II e Andorra di Endesa; Velilla di Iberdrola; Narcea, La Robla e Meirama di Naturgy; e Puente Nuevo di Viesgo.

Dietro la decisione di fermare le centrali motivi economici e di regolazione: secondo quanto riporta El Paìs, le e quattro società che le possiedono (Naturgy, Endesa, Viesgo e Iberdrola) hanno preso la decisione perché era troppo oneroso adeguarsi alla nuova direttiva europea sulle emissioni.

Il Pniec spagnolo ha fissato l’uscita dal carbone entro il 2030, ma le stesse dinamiche che stiamo vivendo in Italia – calo della domanda, del prezzo del gas e aumento di quello della CO2 – stanno spingendo fuori mercato le centrali termoelettriche alimentate con questo combustibile.

Nel 2018, quasi il 15% di tutta l’elettricità consumata in Spagna veniva dal carbone, a maggio 2020 la quota era scesa all’1,4%.

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