Altro che etanolo per carburanti! Con l’agrovoltaico si produce molto, ma molto di più

Negli Usa coltivare mais per farne etanolo incrementa di circa il 24% le emissioni di CO2, oltre ai danni recati ai terreni e all'ambiente. E se quesi terreni venisssero in parte convertiti all'agro-fotovoltaico?

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Qualsiasi iniziativa umana su grande scala, per quanto benintenzionata, si porta inevitabilmente dietro errori, truffe, crimini e doppiezze.

Non fa eccezione la transizione ecologica ed energetica, che di sviluppi controproducenti e vicoli ciechi ne ha visti diversi in questi anni.

Uno dei più clamorosi è stato il programma di coltivazione di mais per ricavarne etanolo come combustibile per le auto, portato avanti negli Usa dal 2005 in poi, imitando quelli di paesi come Brasile e India.

Lo scopo ufficiale era nobile: ridurre le emissioni di inquinanti e di CO2 dal petrolio, oltre che eliminare l’uso dell’antidetonante di sintesi MTBE, che è tossico, in favore dell’etanolo impiegato allo stesso scopo.

La principale ragione della scelta, per molti, però, era fornire agli agricoltori del Midwest, elettori del presidente George Bush sotto il cui mandato il programma fu lanciato, un nuovo e più remunerativo mercato per il loro mais, grazie agli incentivi concessi per non far costare questo carburante più della benzina.

Il risultato è stato che se nel 2000 si producevano negli Usa solo 400mila tonnellate di etanolo agricolo, nel 2019 si è toccato il picco con 4 milioni di tonnellate, prodotte occupando circa 10 milioni di ettari di terreno: quell’anno la metà del mais americano, in pratica è stato mangiato non da uomini o animali, ma dai motori delle auto.

Un successone! E quante emissioni di CO2 ha fatto risparmiare?

In realtà le ha addirittura aumentate, secondo il più recente studio in proposito, condotto dall’ecologo Tyler Lark della Università del Wisconsin–Madison: coltivare mais per farne etanolo incrementa di circa il 24% le emissioni di CO2, oltre che danneggiare terreni e acque con l’inquinamento.

La ragione è semplice, il mais è una coltura che richiede tanti fertilizzanti, pesticidi e lavorazioni del terreno, mentre l’etanolo, che va prodotto in industrie altamente energivore, è un combustibile che ha solo 2/3 del potere calorifico della benzina; quindi, se ne consuma molto di più a parità di chilometraggio.

Risultato? Quello che si risparmia non bruciando nelle auto derivati del petrolio, lo si emette coltivando, trasportando, fermentando e distillando il mais per ricavarne etanolo.

È vero che in paesi come il Brasile l’uso dell’etanolo ha portato a ridurre le emissioni dei trasporti di circa il 60%, ma lì, grazie al clima più caldo, usano la canna da zucchero per fare l’alcol, che, rispetto al mais, richiede circa la metà degli input energetici e chimici a parità di carboidrati ottenuti. E quelli della canna sono anche più facile da fermentare.

Insomma, il programma etanolo come carburante è stato un disastro climatico ed ecologico, oltre ad aver fatto spendere centinaia di miliardi ai contribuenti americani e aver tenuto alto il prezzo del mais nel mondo, danneggiando i poveri che lo usano come alimento di base.

Ma nonostante questi risultati non troppo brillanti, il programma non si riesce più a fermare perché troppi agricoltori sono ormai dipendenti dagli incentivi che assicura.

Passare all’agrovoltaico

Adesso però John Fitzgerald Weaver, sviluppatore di impianti solari di grandi dimensioni, ha lanciato una campagna per risolvere il problema alla radice: farla finita con la coltivazione del mais per alimentare le auto, sostituendo invece l’energia che produce con quella di pannelli solari installati al suo posto.

In un articolo su PV Magazine Usa, Fitzgerald-Weaver ha dettagliato la sua proposta, partendo dal caso massimo: eliminare il mais e coprire di pannelli quei 10 milioni di ettari, considerando una loro resa annua di circa 1.000 MWh per ettaro.

“In questo caso, data la maggiore efficienza dei pannelli nello sfruttare l’energia solare, si otterrebbe come elettricità circa 200 volte l’energia contenuta nell’etanolo da mais, come dire abbastanza per coprire 3,5 volte tutti i consumi elettrici statunitensi”, dice Fitzgerald.

“Oppure, se preferite – aggiunge – alimentare tutte le auto del paese, fossero a batteria. E ancora, avere abbastanza energia per coprire due volte tutti gli altri consumi elettrici”

La cosa sarebbe già così impressionante, ma non è finita qui.

“È chiaro che nessuno vuole trasformare così tanta terra agricola in distese di pannelli solari e per questo propongo di continuare a coltivarla, ma con tecniche di agrivoltaico, che consentono di far convivere moduli FV e piante. In Germania stimano che certi raccolti, come le patate, possono stare insieme al solare, con una riduzione del rendimento di solo il 20% di entrambi, rispetto allo stare da soli nel campo”.

Ma ipotizziamo pure che nel caso del Midwest, l’agrivoltaico porti a una riduzione del 50% dei raccolti agricoli e del 50% del solare, rispetto a un uso esclusivo del terreno. Ebbene, anche in questo caso, secondo Fitzgerald, ci sarebbe abbastanza elettricità per spingere l’intero parco macchine Usa (tutte a batteria), oltre che coprire tutti i consumi elettrici del paese.

“Naturalmente, non c’è bisogno di produrre il 100% dell’elettricità statunitense con il solare nel Midwest, per cui la conversione potrebbe anche interessare una porzione più limitata dei 10 milioni di ettari. In ogni caso quella frazione, integrata con l’agrivoltaico, potrebbe essere utilizzata per colture a scopo alimentare più pregiate, o anche essere lasciata incolta per qualche tempo, come mezzo per assorbire CO2 nel suolo e ripristinare la fertilità originale, distrutta da decenni di coltivazione intensiva”, dice l’autore dell’articolo.

In ogni caso, spiega l’operatore del solare, gli agricoltori, tramite la produzione elettrica, avranno un’integrazione del reddito sufficiente a poter sopravvivere continuando a fare il loro lavoro, senza più dipendere da incentivi ambientalmente dannosi.

Secondo gli esperti di PV Magazine, l’analisi Fitzgerald-Weaver è però un po’ troppo semplicistica, esagerando le rese solari dei terreni del Midwest, che sono più vicini ai 600 MWh per ettaro l’anno, piuttosto che ai 1000. Non tiene poi conto dei costi associati alla trasmissione di tutta quella elettricità dai campi agricoli ai luoghi di consumo e dell’enorme quantità di accumuli (e relative perdite di energia) che richiederebbe per essere resa programmabile.

Ma nonostante questi limiti la proposta resta importante come base di partenza su cui ragionare per arrivare a eliminare la stortura dell’etanolo come carburante negli Usa, ma soprattutto è decisamente efficace e significativa nel farci capire come l’integrazione fra i due vecchi “nemici”, FV e agricoltura, possa essere una carta vincente e fondamentale nella transizione energetica.

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