L’auto elettrica ha tanti vantaggi, ma anche innegabili punti deboli: lenta da ricaricare, scarsa in autonomia, con batterie costose, di vita relativamente breve, che usano elementi rari e che non è facile riciclare.
Così, per risolvere questi problemi, assistiamo a un imponente sforzo di ricerca, alimentato da investimenti senza precedenti e punteggiato da continui annunci su “batterie rivoluzionarie” di ogni tipo, che sarebbero ormai pronte nei laboratori.
In questa caotica fase di sviluppo si perde anche l’addetto ai lavori più esperto: fra 10 anni le auto elettriche useranno batterie al magnesio? O forse quelle al litio a stato solido? Ma no, prevarranno quelle litio-aria, o forse zinco-aria… sempre che non emergano i supercondensatori al grafene. Chissà?
Il punto è che c’è una competizione tremenda per attirare capitali, e, negli annunci, si tende a spararle grosse su quanto si è conseguito, sorvolando su limiti e difetti delle proprie scoperte.
Parliamo quindi, cum grano salis, delle ultime mirabolanti notizie che arrivano da vari laboratori nel mondo, alla ricerca del Santo Graal delle batterie.
La batteria autoriscaldante
La prima, in verità, è la più modesta come tasso di innovazione, ma anche la più concreta: si tratta della “batteria autoriscaldante” realizzata da Chao-Yang Wang, della Pennsylvania State University.
È un’economica batteria litio-ioni da 40 kWh, con catodo di ferro fosfato e anodo in grafite, un tipo usato quando non c’è bisogno delle massime prestazioni in fatto di densità energetica, ma in cui è stato risolto un problema comune a tutte le batterie al litio: funzionano male a freddo, visto che il loro optimum di efficienza in fatto di carica, scarica e vita utile, è a circa 60 °C.
L’idea dei ricercatori è stata quella di dotare la batteria di una resistenza elettrica interna, che si attiva durante la carica e la scarica, mantenendola sempre agli ideali 60°C.
«A quella temperatura il movimento delle cariche nella batteria avviene in modo ottimale», spiega Wang su Nature Energy.
«Questo comporta che a parità di peso la nostra batteria consente un’autonomia pari a quella di una molto più costosa batteria con catodo al cobalto. Inoltre, bastano 10 minuti di ricarica rapida per dargli una autonomia di 400 km, e questo senza degradarsi come capita quando si ricarica a freddo: calcoliamo che il nostro dispositivo potrebbe mantenere una capacità di almeno l’80% dell’iniziale, per due milioni di km di percorrenza».
E per quelli che ci tengono, questa semplice ed economica batteria, pare abbia una potenza massima di 300 kW, abbastanza da accelerare a 100 km/h in 3 secondi.
Ma usare parte dell’elettricità della batteria per tenerla a 60 °C, non ne diminuisce l’autonomia?
«Certo, un po’ dell’energia accumulata si usa per riscaldare la batteria durante il funzionamento. Ma quanto si riesce ad estrarre in più da essa, supera di molto quanto si perde nel suo riscaldamento».
Secondo i ricercatori questo modello, così semplice, potrebbe andare presto in produzione, permettendo di abbassare il prezzo delle auto elettriche e di allungarne la vita, oltre a ridurre “l’ansia da batteria scarica” ed evitare l’uso di metalli rari e problematici come il cobalto.
Il modello israeliano… con la transizione al germanio
Anche la società israeliana StoreDot, è orientata a migliorare i consueti modelli litio-ioni, ma in un modo più complesso del precedente: cambiando l’anodo, l’elettrodo che ospita il litio, abbandonando la grafite.
La grafite è abbondante e costa poco, ma può immagazzinare poco litio e lo assorbe e rilascia con “pigrizia”, aumentando i tempi di ricarica e scarica.
Così StoreDot l’ha sostituita con nano particelle di germanio, un semiconduttore parente stretto del silicio, ma molto più raro, che permette di ricaricare completamente la batteria in 5 minuti (con uno speciale super charger, che “friggerebbe” una batteria alla grafite).
L’idea è di fare esperienza con il germanio, raccogliere fondi grazie ai primi 1000 prototipi prodotti, i più grandi dei quali per gli scooter elettrici, e poi elaborare un anodo al silicio, che manterrebbe le stesse prestazioni di uno in germanio, ma costando una frazione di quello.
L’obbiettivo “fondi,” è stato raggiunto, raccogliendo 130 milioni di euro da colossi tipo Daimler e BP (interessata ad ospitare le nuove colonnine supercharger nei suoi distributori), ma non si sa quando si riuscirà a passare dal germanio al silicio.
Alla StoreDot sono convinti di riuscirci entro il 2025, ma c’è da dire che l’idea di usare quell’elemento per gli anodi gira da molti anni, ma finora nessuno è riuscito a impiegarlo perché il silicio si gonfia come un pallone caricandosi di litio, distruggendo la batteria.
La sperimentazione russa: materiale organico e potassio
L’idea dei ricercatori russi dello Skolkovo Institute of Science and Technology, diretti da Filipp Obrezkov, è invece decisamente più radicale.
Come pubblicato su Energy Technology, hanno sostituito il catodo di una batteria al litio, che in genere è fatto di ferro, nickel o cobalto, con un materiale organico altamente poroso e conduttivo, da loro sintetizzato, un polimero di diidrofenazina e difenilamina. Inoltre, al litio dell’anodo hanno affiancato il molto più comune potassio, i cui sali compongono anche l’elettrolita.
Il loro catodo organico è economico, pesa poco e offre molto spazio di reazione e di movimento agli ioni, mentre l’anodo bimetallico, è molto più economico e duraturo di quello fatto con solo litio, che tende a formare degli aghi durante la ricarica e a provocare cortocircuiti.
«A giudicare dai risultati del nostro prototipo una batteria di questo genere potrebbe essere caricata tutti i giorni per 70 anni, prima di essere gettata, inoltre la sua densità di energia risulta di quasi 400 Wh/kg, contro i 200-250 Wh/kg, di una batteria al litio-ioni».
Peccato che per ora parliamo di una sola cella sperimentale, a molti anni da un eventuale arrivo sul mercato.
Via il litio e spazio allo zinco
Ancora più sconvolgente, ma ancora più teorica, è infine la proposta pubblicata su Science, dal chimico Wei Sun, della Università di Muenster, in Germania.
Secondo lui è arrivato il momento di fare a meno del litio e passare a un metallo ben più comune, lo zinco.
La loro idea è quella, inseguita da molti anni, di realizzare una batteria zinco-aria, che non sarebbe altro che un parente della comune pila elettrica alcalina zinco-carbone, però ricaricabile.
A prevenire questo passaggio, però, sono stati finora tanti inconvenienti nella chimica dello zinco, che rendono queste batterie molto instabili e poco longeve.
Sun e colleghi sono convinti che i problemi delle zinco-aria derivino dal liquido alcalino che finora è stato usato come elettrolita, e lo hanno sostituito con una soluzione acquosa neutra di un sale di loro invenzione il trifluorometansulfonato di zinco. Operando in ambiente neutro, la batteria usa molto più stabili reazioni del perossido di zinco, che hanno permesso al loro prototipo di funzionare per 320 cicli in aria ambiente, senza perdere capacità.
Siamo ancora molto lontani da un modello industriale, ma per capire le potenzialità di questa linea di ricerca, basti considerare che una batteria zinco-aria, avrebbe una densità energetica di circa 470 Wh/kg, quasi il doppio di una al litio, ad un costo che sarebbe solo una frazione.
Conclusioni
Insomma, come si vede è in corso una battaglia di tecnologie più appassionante di un giallo, con tutti in trepidante attesa di capire quale sarà la “killer technology” che farà fuori tutte le altre. Sempre che ce ne sia solo una.
Non vorremmo però che l’effetto di questa gara scientifica possa essere quello di scoraggiare dal comprare un mezzo elettrico, per non trovarselo poi invecchiato di colpo il giorno dopo, grazie all’arrivo della “batteria definitiva”.