Al via la COP28: “I grandi del mondo non possono più nascondersi”

La nostra intervista a Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, che sarà presente alla Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Dubai.

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Oltre 70mila visitatori, 140 capi di Stato, tantissime questioni sul tavolo e una crisi ambientale che incede: inizia oggi la COP28 di Dubai, la 28esima Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nella quale (quasi) tutti i Paesi del mondo si riuniscono per portare le proprie istanze sul come affrontare la transizione energetica (ed economica) verso sistemi più sostenibili.

“Le COP sono l’unico meccanismo davvero partecipativo che esiste, gli altri vertici come il G20 sono un po’ ingabbiati, e rischiano di essere autoreferenziali. Qui davvero tutti possono parlare”, dice a QualEnergia.it Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, che sarà presente a Dubai dal 5 dicembre fino alla fine dell’evento (prevista per il 12 dicembre).

Spesso accusate di essere semplici passerelle politiche per piani sbandierati ma mai messi in atto, la Conferenze sui cambiamenti climatici generano aspettative ma anche scetticismo: molti analisti vedono l’edizione che è appena cominciata come un “evento di transizione”, giudicando insanabili e troppo ampie le differenze di vedute tra i grandi del mondo sui piani di uscita dai combustibili fossili o sui fondi di solidarietà per i Paesi meno sviluppati.

“Ma i negoziati, servono a questo, chi li attacca spesso coincide con chi fa di tutto per non farli funzionare”, dice Midulla.

Sembra ci sia un certo ottimismo quindi per l’evento?

All’inizio di una COP bisogna partire con buona volontà. Ma so benissimo che non abbiamo una classe politica all’altezza a livello globale. Il successo di una COP si misura da quanto è forte il segnale che riesce a mandare al mondo economico e politico: è quello che fa muovere gli investitori e fa attivare i meccanismi verso una giusta transizione. Ma i nostri governanti non hanno capito di fronte a quale enorme problema ci troviamo, forse perché non lo conoscono direttamente, non lo studiano. Quanti dei nostri governanti hanno approfondito la vicenda?

Quindi i negoziatori rischiano di non essere all’altezza?

Loro non rappresentano se stessi, ma i vari governi. E abbiamo visto come il quadro politico attuale cambi a volte anche molto repentinamente, mettendo a rischio gli accordi pregressi. Si pensi al problema generato da Donald Trump nel 2017, quando decise di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi stipulato alla COP21 del 2015 sotto la presidenza Obama. Gli avvicendamenti dei capi di Stato e di governo creano sempre rallentamenti se non avvengono nel segno della continuità.

Eppure la crisi climatica è sotto gli occhi di tutti

Ma non tutti ne hanno capito le implicazioni. E gli obblighi che queste ci impongono di fronte al mondo. Bisogna agire insieme e più celermente di quanto sia stato fatto. Un diplomatico una volta mi chiese perchè ci opponessimo alla centrale a carbone di Civitavecchia, “tanto una in più o una in meno…”. Ma è proprio quella a fare la differenza. È per colpa di ogni singola centrale se i dati sulle emissioni poi alla fine sono quelli che sono.

Per il momento i piani nazionali sul clima sono stati insufficienti. O almeno, così dice il Global Stocktake. Questo cosa significa?

Che questa COP sarà ancora più importante, misurerà lo spessore della classe politica mondiale che non può più nascondersi, dovrà ammettere che i discorsi fatti fino ad oggi non sono sufficienti per arrivare in una fase in cui ci si confronta su cosa sia meglio fare. Solitamente invece non è così, alcuni Stati e colossi del fossile si comportano da predoni che cercano di crearsi uno spazio di rendita forzando la mano su determinati temi.

Sull’uscita dai combustibili fossili si dibatte molto, tra chi la vorrebbe “immediatamente”, chi “gradualmente”, e chi la osteggia. È questa l’urgenza della COP28?

Oggi è in corso un’offensiva su larga scala delle fonti sporche, che non denota la loro forza ma la loro debolezza. La transizione è in atto, ma quelli che fanno affari con petrolio e gas la vogliono rallentare. A volte nascondendosi dietro stratagemmi come la carbon capture, che si è rivelata fallimentare su larga scala. Alcune tecnologie vanno anche bene, ma danno un apporto limitato.

Questo pone anche il tema della giustizia climatica. Gli Stati più vulnerabili fanno più fatica a difendersi dagli effetti delle emissioni

Sono quelli che non hanno responsabilità nel cambiamento climatico, e COP28 sarà la loro occasione di farsi sentire. Insieme pesano di più. Mi auguro che lo comprendano bene, hanno interesse nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, ma anche nello sviluppo energetico alternativo a quello attuale. Non è più sostenibile, e loro sono quelli più a rischio.

Quante possibilità ci sono che già a Dubai venga attuato per loro il fondo loss&damage varato in Egitto lo scorso anno?

Scarse, è troppo presto.

Due parole sull’Italia: come arriviamo a questa COP?

Facendo un passo avanti e dieci indietro, non cogliendo, ciecamente, le opportunità della transizione. Abbiamo passato molto tempo a “vedere come vanno le cose” invece di agire. E ora che le abbiamo viste appaiono molto chiare. Invece dobbiamo ancora constatare l’approvazione di un Decreto Energia nel quale, dopo tutte le analisi concordi sul fatto che non ci servano le due navi rigassificatrici di Porto Empedocle e Gioia Tauro, si dice che bisogna accelerarne la creazione. Sono tutti danni per il Paese, pesi morti che ci porteremo appresso per chissà quanto tempo.

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