Perché la Banca Mondiale smetterà di finanziare petrolio e gas

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L’annuncio è arrivato durante il summit One Planet in Francia. Che cosa prevedono i nuovi impegni della World Bank e con quali possibili implicazioni per la transizione energetica globale? Gli scenari del disinvestimento fossile tra obiettivi e contraddizioni.

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Stop agli investimenti “sporchi” destinati ai combustibili fossili: l’annuncio fatto dalla Banca Mondiale, nell’ambito del summit internazionale One Planet organizzato dal presidente francese, Emmanuel Macron, ha riportato l’attenzione sui rischi climatici associati alla finanza globale (vedi anche QualEnergia.it).

La World Bank, in una nota, parla della necessità di supportare la transizione energetica delle nazioni emergenti verso le fonti rinnovabili, sulla scia degli accordi di Parigi sottoscritti nel 2015. Un tema, questo, particolarmente delicato, come emerso dal vertice ONU sul clima di Bonn, dove in sostanza è mancato un accordo vincolante sulla riduzione delle emissioni inquinanti (tutti i dettagli nell’articolo di QualEnergia.it).

I paesi più ricchi, in teoria, dovrebbero aiutare quelli più poveri a costruire un sistema energetico più “pulito”, con trasferimenti di tecnologie, competenze tecniche e con un fondo multimiliardario che però, almeno finora, non ha mai ricevuto le somme promesse negli anni passati.

La Banca Mondiale, intanto, ha dichiarato che dal 2019 smetterà di finanziare attività che riguardano l’estrazione-produzione di petrolio e gas, tranne che in “circostanze eccezionali”. In altre parole, l’istituto potrebbe investire in nuovi giacimenti di gas nelle regioni più arretrate, a patto che l’utilizzo del combustibile fossile possa concretamente migliorare l’accesso all’energia per la popolazione.

Dal prossimo anno, la World Bank pubblicherà puntualmente i dati sulle emissioni inquinanti dei progetti finanziati, soprattutto nei settori “critici” come l’energia; inoltre, inizierà ad applicare un prezzo virtuale (shadow price) alla CO2 nelle analisi economiche sui progetti nei paesi in via di sviluppo.

Sarà un primo tentativo, quindi, di assegnare un valore economico alle cosiddette esternalità negative degli investimenti energetici, come i costi sanitari e ambientali correlati alla produzione e all’utilizzo di carbone, gas e petrolio (vedi anche QualEnergia.it).

Per accelerare gli investimenti “verdi”, prosegue la nota, la Banca Mondiale lavorerà con tutti i suoi partner per definire regole comuni con cui far decollare il mercato dei green bond, cercando così di sbloccare nuovi capitali privati.

Attraverso l’International Finance Corporation (IFC), destinerà fino a 325 milioni di dollari al Green Cornesrtone Bond Fund, super-iniziativa da oltre 2 miliardi di dollari in partnership con Amundi, che punta a convogliare la finanza internazionale verso i progetti salva-clima.

Tutte queste azioni, in definitiva, rientrano nelle iniziative di “disinvestimento fossile”, annunciate a più riprese da banche, gestori di fondi, multinazionali, governi locali, con cui abbandonare progressivamente quei settori industriali maggiormente esposti alla perdita futura di remunerazione.

Torniamo così al tema degli stranded asset: infrastrutture obsolete, costose, come le centrali a carbone, non più in grado di generare profitti, perché sorpassate da nuove e più efficienti tecnologie rinnovabili (Il carbone in Ue? Un “morto vivente” nutrito a soldi pubblici).

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