Il carbone in Ue? Un “morto vivente” nutrito a soldi pubblici

Secondo un nuovo studio di Carbon Tracker, da qui al 2030 quasi tutti gli impianti alimentati a fossili “sporche” non saranno più in grado di generare profitti. Tuttavia, ancora oggi l’Europa continua a finanziare le centrali più obsolete e inefficienti, anche a causa delle storture del mercato ETS.

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La maggior parte delle centrali a carbone avrà i conti in rosso entro pochi anni, se già non lo sono, con il rischio di far perdere svariati miliardi di euro alle utility di diversi paesi.

Un nuovo rapporto del think-tank finanziario indipendente Carbon Tracker, “Lignite of the living dead” (allegato in basso), torna a indagare gli impatti della fonte fossile “sporca” per antonomasia nel mix europeo di generazione elettrica.

Gli impianti a carbone, questa è la sintesi del documento, sono dei “morti viventi”, tenuti in piedi dalle azioni lobbistiche e dai sussidi statali, mentre l’evoluzione delle fonti rinnovabili continua a minare la competitività economica delle risorse energetiche tradizionali.

Secondo lo studio, il 54% del carbone europeo non è più in grado di generare profitti. Nel 2030, evidenzia Carbon Tracker nel grafico sotto, il numero delle centrali obsolete sarà aumentato moltissimo (97% del totale), lasciando così le utility con un pugno di stranded asset, beni “incagliati” perché improduttivi, costosi e penalizzati dalle restrizioni ambientali volte a limitare il surriscaldamento globale sotto i 2 gradi.

Sarà davvero così? Per il momento, osserva la campagna europea Beyond Coal, l’Europa non sta lottando con la dovuta convinzione per eliminare i sussidi al combustibile fossile più inquinante.

La Gran Bretagna, negli ultimi quattro anni, ha pagato circa 500 milioni di sterline agli impianti a carbone attraverso il mercato-meccanismo della capacità: soldi “facili”, regalati agli operatori come RWE, che di recente ha ricevuto ancora 33 milioni per mantenere aperto il sito di Aberthaw anche dopo il 2020.

Perché chiudere un’industria se lo Stato copre i costi fissi del suo esercizio?

Per la Gran Bretagna, la buona notizia è che Londra ha pianificato lo stop di tutte le centrali a carbone entro il 2025 e sta facendo pagare una tassa sulle emissioni, da aggiungere al prezzo europeo della CO2 sul mercato ETS (Emissions Trading Scheme), con il risultato che una singola tonnellata di CO2 in Inghilterra costa sui 30 €, molto di più rispetto agli altri paesi, a tutto vantaggio delle rinnovabili (vedi anche QualEnergia.it).

Di recente, scrive Beyond Coal, la Commissione UE ha proposto d’introdurre una soglia antinquinamento pari a 550 grammi di CO2/kWh per bloccare i finanziamenti agli impianti più vecchi e inefficienti, ma la presidenza estone di turno ha stralciato questa clausola dai negoziati (articolo di QualEnergia.it sulla riforma del mercato ETS).

Il problema è che sono poche le nazioni europee ad aver fissato dei piani di ritiro dal carbone. L’Italia, con la nuova Strategia Energetica Nazionale, dovrebbe inserirsi tra i governi che hanno deciso di abbandonare questa fonte energetica nel giro di 10-15 anni.

Un altro problema è che il costo della CO2 nel sistema ETS rimane troppo basso, intorno a 6-7 € per tonnellata, mentre le politiche di carbon pricing languono in tutto il vecchio continente.

Di conseguenza, c’è il rischio che milioni di euro di Bruxelles continueranno a sovvenzionare le attività delle centrali esistenti.

Tornando alle stime di Carbon Tracker: poiché il 97% degli impianti a carbone nel 2030 sarà antieconomico, le utility europee, se chiudessero tali siti entro quella data, anziché mantenerli in funzione fino al termine della vita utile pianificata in origine, potrebbero evitare perdite nell’ordine di 22 miliardi di euro.

La sola RWE, si legge nel documento, potrebbe “salvare” oltre 5 miliardi di euro bloccando in anticipo le sue centrali non più remunerative. In tutta la Germania, che conta quasi 50 GW di potenza totale installata nel carbone, le perdite associate agli impianti obsoleti (stranded value) potrebbero attestarsi a 12 miliardi di euro, come riassume il secondo grafico sotto.

Un’ultima considerazione sui costi complessivi di generazione: secondo Carbon Tracker, già oggi, in molte circostanze, costa meno costruire un nuovo parco eolico o fotovoltaico rispetto a una centrale a carbone. Nel 2024-2027, inoltre, come precisa il prossimo grafico, il valore LCOE medio (Levelized Cost of Electricity) delle fonti rinnovabili sarà inferiore ai costi operativi degli impianti a carbone esistenti.

Un altro motivo, in definitiva, per favorire nuovi investimenti in tecnologie pulite a scapito delle risorse energetiche convenzionali.

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