Salute e ambiente, le esternalità delle fossili e i benefici delle rinnovabili

Un gruppo di ricercatori ha provato a calcolare costi e benefici delle diverse fonti di produzione elettrica considerando l’intero ciclo di vita e le esternalità negative. Tecnologie pulite in netto vantaggio sulle fonti fossili, ma per le biomasse c’è qualche punto critico.

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Tra gli argomenti più citati a sostegno di un cambiamento dell’attuale sistema energetico verso le tecnologie pulite, oltre ovviamente alle minori emissioni di CO2, ci sono le esternalità negative provocate da carbone, petrolio e gas.

Eppure, determinare gli extra-costi dei combustibili fossili, scaricati sulla collettività, è impresa tutt’altro che facile. Tuttavia sono molte organizzazioni e centri di ricerca che stanno affrontando questo aspetto.

Tra questi la stessa IEA (International Energy Agency) che in uno dei suoi ultimi studi ha proposto di confrontare le diverse fonti di generazione elettrica con un “valore di sistema” (system-value) che ricorda il “costo globale” dell’energia fatto proprio da Althesys (vedi questo articolo di QualEnergia.it).

Si tratta, in sintesi, di mettere sul piatto della bilancia gli elementi positivi e negativi di ciascuna tecnologia, per valutare l’impatto complessivo sull’ambiente e la società.

Un altro studio (allegato in basso), Health benefits, ecological threats of low-carbon electricity, ha provato a esaminare con il metodo LCA (life cycle assessment) le conseguenze per il clima e la salute umana di un ipotetico scenario energetico a basso contenuto di CO2.

In pratica, gli studiosi hanno considerato l’intero ciclo di vita di differenti tecnologie fossili e rinnovabili fino al 2050: sfruttamento delle risorse minerarie o naturali – questo punto è di fondamentale importanza quando si parla di biomasse e relativo utilizzo dei terreni – costruzione degli impianti e loro manutenzione, smantellamento delle infrastrutture, eccetera.

Gli autori della ricerca hanno impiegato diversi modelli matematici molto complessi; l’obiettivo, in sostanza, è valutare i co-benefici delle rinnovabili non solo in termini climatici (cioè la riduzione complessiva delle emissioni), ma anche per quanto riguarda la qualità e tutela degli ecosistemi, le morti premature dovute all’inquinamento atmosferico e così via.

I risultati, si legge nel documento, evidenziano che l’adozione su vasta scala delle rinnovabili potrà dimezzare gli impatti negativi della produzione elettrica nel 2050, nello scenario in cui le fonti pulite saranno la parte preponderante del mix energetico globale (Blue Map Scenario della IEA).

Va detto, però, che la definizione di fonti pulite comprende il nucleare e la tecnologia CCS (carbon capture and storage) per la cattura della CO2 emessa dalle centrali termoelettriche. Soluzioni tutt’altro che sicure e affidabili da vari punti di vista.

Un punto particolarmente delicato, secondo gli autori, è l’uso dei terreni per le colture energetiche dedicate alla produzione di biogas o biocarburanti. Il rischio, in questo caso, è che le piantagioni intensive abbiano una serie di conseguenze dannose per l’ambiente, con un bilancio finale molto più impattante di quanto si possa immaginare inizialmente.

Uso di erbicidi e altre sostanze chimiche, disboscamento, trasporto delle biomasse dai campi alle centrali di produzione, sono tutti fattori che possono incrementare molto le esternalità negative delle bioenergie, che quindi vanno inserite con maggiore cautela nel mix delle fonti, rispetto alle fonti come l’eolico e il solare fotovoltaico che, all’opposto, hanno un bilancio costi-benefici nettamente positivo.

Lo studio completo (pdf)

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