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Società a 2000 watt: più benessere con meno energia

Con il referendum in Svizzera i cittadini hanno votato a favore di una riduzione del flusso di energia primaria da 6000 a 2000 watt pro capite. Ma per ridurre gli impatti dell'uso d'energia non bastano rinnovabili ed efficienza, serve una riduzione del flusso di prodotti e di servizi che oggi ci sembrano indispensabili.

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La versione digitale dell’articolo sulla rivista QualEnergia

Il 21 maggio, il 58% dei votanti svizzeri ha scelto il “sì” nel referendum sulla Legge sull’energia 2016, che mira a ridurre del 43% l’uso di energia finale entro il 2035, l’uso di combustibili fossili, ad aumentare fortemente l’uso di energie rinnovabili e a dismettere i cinque reattori atomici.

Questi obiettivi sono solo la prima parte della Strategia energetica 2050 del governo che punta, a lungo termine, a ridurre di due terzi l’uso di energia primaria pro capite. Questa strategia è un caso esemplare di trasmissione dalla scienza alla politica e da questa agli elettori.

All’origine c’è lo studio 2000-watt society” (2002 e 2004) delle sei istituzioni scientifiche federali, riunite nello Swiss Federal Institutes of Technology Domain (Eth Domain), che documenta la fattibilità di una riduzione da 6000 a 2000 watt pro capite del flusso di energia primaria (ovvero in un anno da 4,5 a 1,5 tonnellate equivalenti di petrolio).

Partendo da questo, il governo ha adottato dal 2002 lo scenario di una società a 2000 watt per la sua Strategia di sviluppo sostenibile e ha avviato la discussione con le parti sociali, con intenso dibattito nei media e nella popolazione.

Molti cantoni, centinaia di Comuni, con in testa Zurigo, e molte associazioni tecniche e professionali, per esempio la Società degli Ingegneri e Architetti, si orientano dunque allo scenario di una società a 2000 watt (pari in un anno pro capite a 1,5 tonnellate equivalenti di petrolio, o 60 GJ, o 18.000 kWh).

La riduzione dell’uso di energia è l’obiettivo più ambizioso della strategia elvetica, perché mira a riportare il flusso continuo di energia pro capite al livello degli anni ’60, pur garantendo e aumentando la prosperità materiale e la crescita del Pil. Si veda lo studio “How rich is the 2000 watt society?” del Politecnico di Zurigo.

Il significato del referendum svizzero va al di là dei confini elvetici. Voler accrescere il benessere riducendo l’uso di energia significa disaccoppiare due fattori finora considerati inseparabili.

Per millenni l’aumento dell’uso di energia è stato il presupposto per l’aumento della prosperità, della longevità e della popolazione e lo è ancora nei paesi più poveri.

Questo processo si è accelerato nel ‘900 grazie alla sinergia tra metodo scientifico e combustibili fossili. Scienziati e tecnici hanno imparato a usare più fonti fossili.

Ciò ha permesso di trasferire più lavoro dall’agricoltura all’industria, alla scienza e alla tecnica, il che ha consentito di imparare a estrarre ancora più combustibili fossili e di sviluppare tecnologie per usare sempre più energia (idroelettrica, atomica, rinnovabile).

Si è così creata una spirale d’intervento umano sulla natura, che ha trascurato gli effetti collaterali. Solo recentemente quella stessa comunità scientifica, che aveva permesso di usare sempre più energia, ne studia le conseguenze indesiderate e propone rimedi.

Per l’insieme delle conseguenze globali gli scienziati hanno coniato il termine Antropocene, ovvero l’era geologica nella quale le attività umane sono diventate una delle principali forze che influenzano molti equilibri bio-geologici del Pianeta. Anche la Francia include nella sua Loi sur l’energie l’obiettivo di dimezzare l’uso di energia finale.

L’associazione scientifica francese “négaWatt” ha elaborato uno scenario di transizione energetica dettagliato, basato sulla triade sobrietè, efficacitè, renouvables.

La Svizzera però è il primo Paese ad aver fatto della politica energetica un grande dibattito nazionale e ad avere consultato gli elettori con un referendum.

Meriti e problemi dell’obiettivo di una società a 2 kW

Lo scenario di una società a 2000 watt presenta sia meriti, sia problemi.

Termini come “attenzione per l’ambiente”, “consumo responsabile”, “transizione”, “sostenibilità” sono abbastanza vaghi da essere abbracciabili da chiunque, ma da non vincolare nessuno. Invece watt vuol dire watt, 2000 vuol dire 2000. Società vuol dire società.

Qui watt vuol dire che è la quantità di energia utilizzata dagli esseri umani il fattore principale che influenza la sostenibilità. 2000 qui vuol dire definire un obiettivo con una quantità verificabile. Società qui vuol dire che l’uso d’energia è un fondamentale parametro societario, prima che economico, tecnologico, o ecologico.

Società, qui vuol dire anche che, se si vuole stabilizzare l’uso d’energia a un livello scelto consapevolmente invece che frutto di sviluppi incontrollati, è la società che deve volerlo, ed è solo con una trasformazione della società, non solo dell’economia o delle tecnologie, che può essere conseguito.

Un altro merito dei fautori di una limitazione volontaria dell’energia (H-P. Dürr, D. Imdoden, P. Kesslring, C-J. Winter, E. Jochem) è quello di aver fatto radicare nei media (quasi come un brand), nella politica e nella parte meglio informata della popolazione questa locuzione che è così precisa, e nello stesso tempo è percepita come una visione ideale e futuristica.

Ulteriore merito è quello di essere riusciti a trapiantare questa visione e questo progetto dalle istituzioni scientifiche alle istituzioni tecniche e politiche, nazionali e locali, fino alla strategia di governo e al voto degli elettori.

Grandi meriti questi, ma a condizione che l’obiettivo sia chiaro e giusto. Secondo alcuni non è né l’uno né l’altro.

Le questioni sul conteggio dell’energia sembrano solo tecniche, ma sono anche politiche. Con i watt pro capite, lo studio dell’Eth Domain (2002) indica il flusso di energia primaria, ovvero quella contenuta nelle fonti naturali prima di qualunque trasformazione tecnica.

In Svizzera però, a differenza delle statistiche internazionali, gran parte delle statistiche e gli obiettivi di riduzione della Strategia energetica 2050 indicano l’energia finale, ovvero quella disponibile per l’uso finale. La differenza tra le due è in media del 20-30% ed è la misura delle perdite di trasformazioni e trasporto.

Riducendo l’uso di energia finale ovviamente si riduce anche quello di energia primaria. Ma tenendo conto nelle macro-statistiche solo dell’uso di energia finale, non si osservano miglioramenti o peggioramenti dell’efficienza energetica nel primo livello di trasformazioni (ovvero dall’energia primaria alla finale).

L’energia “finale” inoltre non è tale, perché il secondo livello di trasformazione (e di efficienza) è tra l’energia “finale” e l’energia utile (in tedesco Endenergie e Nutzenergie). Per esempio, l’energia utile è la quantità di luce che emette una lampadina, la finale è la quantità di elettricità che arriva alla lampadina, la primaria è la quantità di carbone bruciata per produrre l’elettricità.

Dietro alla propensione dare risalto statistico all’uno o all’altro livello nella catena dell’energia (primaria, finale, utile) c’è forse un’implicita maggiore attenzione all’impatto ambientale e alla preziosità delle risorse energetiche, oppure all’utilità economica e pratica.

In metafora, gli uni guardano a quant’acqua contiene la diga, gli altri a quant’acqua fuoriesce dal rubinetto.

Mancano l’energia grigia importata e i voli aerei

Due impieghi di energia non sono inclusi nelle contabilità nazionali: l’energia per i trasporti aerei (e in parte quella per i trasporti navali), e il saldo netto dell'”energia grigia importata”, in altre parole quella usata all’estero per produrre i beni importati e goduti in un Paese (al netto delle esportazioni).

L’energia per produrre e trasportare le mie scarpe cinesi, va imputata a me o ai Cinesi? La questione è etico-politica, non tecnica.

Chi ha computato anche queste due voci vede che l’energia pro capite totale realmente usata dagli abitanti del Paese è probabilmente il doppio di quella usata in Svizzera.

Per convenzione e per fattibilità statistica, si attribuisco gli usi energetici alle nazioni, non agli individui ma questo porta a interpretazioni politicamente distorsive di alcuni fenomeni macro-energetici.

Alcuni Paesi industriali si rallegrano di aver rallentato la crescita delle loro emissioni climalteranti o dell’energia, o di averla quasi stabilizzata. Una parte di questo fenomeno però è dovuta alla crescente delocalizzazione nei paesi più poveri delle produzioni ad alto consumo energetico di molti beni materiali, che poi s’importano in cambio di beni a basso contenuto energetico o semplicemente in cambio di dollari.

Se è vero che le emissioni climalteranti dell’aviazione civile sono “solo” il 2-3% di quelle mondiali, è vero anche che 4 o 5 miliardi di persone non volano quasi mai, e 1 o 2 miliardi, volano quasi sempre.

Lo svizzero medio per esempio, che, grazie alla grande efficienza dei trasporti, sempre più lontano in patria (40 km al giorno). Metà dei residenti in Svizzera lavora in un Comune diverso da quello in cui abita. Contando anche i viaggi all’estero però, il residente medio percorre 70 km al giorno. Milioni di residenti, compreso tanto personale del mio Politecnico, usano più energia per i viaggi aerei che per tutto il resto.

Un’altra questione di conteggio: i servizi energetici autoprodotti vanno calcolati nel tetto di 2000 watt? Per ora questa energia dei prosumer (autoconsumatore) è pochissima. Ma se, come si vuole, essa diventasse di più, sarebbe da conteggiare o no?

Lo stesso vale per gli scenari macro-energetici globali. In un eventuale mondo al 100% di energie rinnovabili (Jacobson e Delucchi 2009 e 2010) quegli 11 TW per la popolazione mondiale (o di più, secondo altri) devono includere o no l’energia dei prosumer? La questione si pone già oggi nella corretta distinzione che solo alcuni fanno tra uso di energia e uso di energia commerciale.

Le biomasse non commerciali autoraccolte e bruciate in decine di paesi poveri sono valutate a circa il 10% degli usi mondiali di energia, ma in certe statistiche sono contate, in altre no.

La questione delle energie dei prosumer è economica, ecologica, e politica. L’obiezione più frequente e più consistente all’obiettivo di ridurre (nei Paesi ricchi) gli usi di energia è: se trasformiamo tutte le fonti di energia da “sporche” a “pulite” non ha senso limitare la quantità di energia usata – tanto è “verde” …

È qui che occorre allargare i confini del sistema da analizzare e dei fenomeni di cui dobbiamo tener conto con un approccio olistico, non solo ingegneristico.

L’energia disponibile sulla Terra (e dentro la Terra) è infinitamente superiore a quella che potremmo desiderare per dieci miliardi di umani o anche per mille miliardi, come sostenne Cesare Marchetti nel suo famoso saggio “10 to 12: A check for the carrying capacity for man“.

Ciò che crea problemi esponenzialmente crescenti con il crescere dell’uso non è l’energia primaria di per sé (se è solare o geotermica o idroelettrica), ma l’impatto sulla biosfera e sulla società delle infrastrutture e delle attività umane necessarie per gestirle, e delle attività rese possibili dalla disponibilità di energia, anch’esse causa d’impatti ecologici e sociali (certe guerre, per esempio).

I pannelli fotovoltaici, per esempio richiedono materiali, trasporti, generano alla produzione scarti nocivi, richiedono smaltimento a fine vita. Il loro esercizio richiede superficie. Tutte queste operazioni richiedono lavoro umano (la tecnica dovrebbe servire però per lavorare meno, non di più).

Lo stesso vale per tutte le tecnologie per le energie rinnovabili. Gli effetti per esempio del crescente inquinamento luminoso, non sono meno deleteri se causati con elettricità da energie rinnovabili. Gli effetti sociali ed ecologici dannosi delle grandi dighe idroelettriche non sono meno gravi perché si tratta di energia rinnovabile.

Per uno dei maggiori profeti dell’efficienza, Ernst U. von Weizsäker, fondatore del Wuppertal Institut e autore con Armory Lovins di Factor 4 «una crescita senza limiti dell’uso di energia, anche se da rinnovabili, sarebbe “un incubo” poiché anche le rinnovabili hanno impatti e la disponibilità di energia trascina con sé attività con impatti (presentazione del 1 febbraio 2017, eceee-Summer-Study 2017)».

La distinzione tra rinnovabile e sostenibile si basa proprio sul principio che scale matters (la scala, la quantità conta).

Che è in sostanza il principio che ha portato a fondare la disciplina, i giornali e la società degli economisti ecologici (Isee), in distinzione da quelli degli economisti ambientali. Infine, concentrandosi sui valori pro capite, si trascura di considerare come i consumi energetici sono distribuiti fra gli individui. Anche Ocse e Fmi raccomandano di ridurre la crescente sperequazione tra ricchi e poveri del reddito e del patrimonio.

Quasi nessuno raccomanda di ridurre (a entrambi gli estremi) la sperequazione dell’uso di energia (con poche eccezioni, come Daniel Spreng).

Si trascurano così non solo criteri di giustizia, ma soprattutto il fatto che il crescente iperconsumo energetico delle élite, messo in vetrina dai media e dalla pubblicità, stimola le masse meno ricche a cercare di emulare i consumi ­ anche energetici ­ della leisure class, come la chiamò Thorsten Veblen.

I voli aerei a prezzi sempre più bassi, anche grazie al costante aumento dell’efficienza energetica degli aerei, sono un buon esempio (65 $ per USA-Europa).

E con questo siamo all’ultima delle questioni di fondo della società a 2000 watt: gli effetti rebound, ovvero quei meccanismi (se ne contano una dozzina, particolarmente importante quello macro-economico) che portano ad un aumento dell’uso complessivo di energia, grazie all’aumento dell’efficienza energetica delle singole applicazioni, che rendono i servizi energetici meno costosi e più accessibili.

Sono anche i rebound che spiegano come mai ­ da secoli ­ nei Paesi più efficienti l’uso di energia continua ad aumentare. In Svizzera la società a 2000 watt è propagandata come un gioco win-win, dove la capra e i cavoli sono inseparabili amici.

Secondo questa interpretazione, nei paesi ad alto consumo anche dimezzando una volta l’uso di energia, si potrà continuare a raddoppiare molte volte il Pil. Alla transizione ci penseranno gli eco-ingegneri dell’efficienza e delle rinnovabili.

Altri, ­ anch’io tra costoro – ritengono invece che, in un’era di consumismo esasperato, di pubblicità dilagante e di rapida espansione di desideri non saturabili (si pensi ai viaggi, o agli smart phone e all’universo digitale) i guadagni di efficienza ottenuti dagli ingegneri dell’energia siano ridotti, forse annullati, dall’aumento dei consumi perseguito dagli “ingegneri dei desideri”.

Se così fosse, una riduzione degli impatti dell’uso d’energia richiederebbe certamente più efficienza e una quota maggiore di energie sostenibili.

Ma richiederebbe anche più sufficienza energetica, ovvero la riduzione, in parte volontaria e in parte indotta, del flusso di prodotti e di servizi che oggi a noi sembrano indispensabili, ma che stanno rendendo la nostra vita inutilmente complessa, frenetica e lontana dai piaceri e dalla serenità delle nostre radici naturali.

Questo articolo è stato pubblicato sul n.3/2017 della rivista QualEnergia con il titolo “Più benessere con meno energia”

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