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Eolico off-shore, in mare il primo parco galleggiante

Si tratta della prima installazione su scala commerciale, con un parco da 30 MW in Scozia realizzato da Statoil. Le turbine eoliche galleggianti, permettendo di sfruttare siti al momento off-limits, potrebbero aprire un potenziale enorme per l'energia del vento nel mondo, anche nel Mediterraneo e in Italia.

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Nel Mare del Nord è in corso un evento importante per il futuro dell’eolico.

Le navi che hanno trascinato in mare 5 turbine eoliche galleggianti dalla Norvegia alle acque scozzesi, dove 2 macchine identiche sono già state installate, hanno infatti portato questa tecnologia relativamente nuova da una dimensione di progetto dimostrativo alla prima applicazione commerciale.

Si aprono così interessanti prospettive e nuovi mari ventosi per l’eolico in mare.

Il nuovo parco di Statoil

Stiamo parlando del progetto Hywind di Statoil, il gigante statale norvegese del petrolio, nell’ambito del quale si sta realizzando un parco da 30 MW nel sito di Buchan Deep, 25 km al largo di Peterhead, in acque scozzesi.

Protagoniste sono le nuove turbine che Statoil sta testando da 6 anni: macchine galleggianti che stanno verticali grazie a una zavorra cilindrica immersa in acqua per 78 metri e a degli ancoraggi al fondale, realizzati tramite cavi di acciaio (vedi video qui sotto e foto-titolo).

Il nuovo parco, distribuito su circa 4 kmq di superficie, è realizzato su fondali che vanno da 95 a 120 metri di profondità: il sito, con una ventosità media di 10 metri al secondo dunque sarebbe inaccessibile per le normali turbine offshore fisse, che solitamente non possono essere installate in acque più profonde di 40-60 metri.

Statoil ha investito nella nuova wind farm 2 miliardi di corone norvegesi, cioè circa 210 milioni di euro e sarà operativa a breve. Si è conseguita, sottolinea una nota della compagnia, una riduzione dei costi del 60-70% rispetto al progetto dimostrativo realizzato in Norvegia

Un mare” di nuove opportunità

Per Irene Rummelhoff, direttrice della divisione low-carbon del gigante norvegese, citata dal Guardian, le nuove macchine possono lavorare in siti “con fondali dai 100 ai 700 metri di profondità, ma si potrà andare anche oltre”.

Chiaro come questo moltiplichi il potenziale dei siti sfruttabili, installando turbine anche in mari per ora trascurati per i fondali troppo profondi (come gran parte di quelli italiani) e anche lontano dalla costa, dove i parchi di energia dal vento hanno meno ostacoli in quanto a vincoli paesaggistici.

Una diffusione delle macchine galleggianti – spiegava l’esperto Gaetano Gaudiosi su queste pagine – si tradurrebbe in disponibilità di nuovi spazi marini da parte di paesi costieri interessati nel Mediterraneo (Francia, Spagna, Italia), nell’Atlantico (Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Scozia, Irlanda), nel Mare del Nord e nel Baltico, nonché sul fronte degli Stati Uniti, sia nell’Atlantico sia nel Pacifico e nei mari orientali per i paesi che affacciano su essi (Cina, Giappone, Corea).

Per capire le proporzioni, si pensi che l’atlante eolico redatto e aggiornato da Rse stima per l’Italia a fronte di un potenziale teorico di circa 2 GW di eolico in mare per fondazioni fisse in basso fondale (fino a 45m, entro 5-15 km circa dalla costa), più 10 GW con l’eolico galleggiante in alto fondale (45-200 m, a 20-40 km dalla costa).

Alle soglie del mercato

Ma le turbine “mobili” sono pronte per il mercato?

Secondo i dati di WindEurope, aggiornati a marzo 2017, tra Scozia, Francia, Portogallo e Giappone (unico paese extraeuropeo che sta conducendo dei floating-test in mare) ci sono oltre 300 MW di progetti molto vicini alla fase di commercializzazione.

Anche sul fronte economico secondo l’associazione europea dell’eolico la competitività è vicina: i costi di produzione, ancora maggiori rispetto a quelli delle turbine in mare fisse, sono in parte compensati dalla possibilità di sfruttare siti con ventosità maggiore e costante, mentre quelli di installazione e manutenzione sono inferiori.

Poi verranno le economie di scala e l’innovazione: ad esempio su queste pagine abbiamo parlato di ELISA, una nuova turbina galleggiante che promette di abbattere del 30-40% i costi rispetto alle pale montate su torri o tralicci.

Tra i problemi delle pale galleggianti invece c’è la dinamica della piattaforma galleggiante sotto l’azione delle onde e del vento, che introduce una maggiore complessità nella modellazione del progetto, dovuta all’interazione tra turbina/piattaforma, ormeggio, ancoraggio, e controllo della turbina.

Un futuro italiano?

Ma in Italia, dove al momento abbiamo (in fase di realizzazione) un solo parco in mare da 30 MW, con turbine fisse su fondale di 5 metri, si potrà affermare l’eolico offshore galleggiante?

I circa 10 GW di potenziale teorico stimati da RSE di cui parlavamo sopra, secondo Owemes, associazione che si occupa di eolico in mare nel mediterraneo, si potrebbero tradurre in 30 TWh/anno: circa il 10% della produzione elettrica lorda nazionale.

“Nonostante il Mediterraneo presenti regimi eolici offshore minori rispetto all’Atlantico, il costo del kWh – ci spiegava Gaudiosi nel suo intervento – resta confrontabile: la minore produzione è controbilanciata da un minore costo delle strutture e dei servizi collegati, dati da una minore aggressività dell’ambiente marino mediterraneo.”

Un prototipo di turbina eolica galleggiante, ricordiamo, ha già solcato le acque italiane. Nel 2008 su di un fondale di 100 m, a circa 20 km dalla costa di Tricase, in Puglia fu installato e provato per alcuni mesi dall’olandese Blue H una turbina galleggiante da 80 kW su piattaforma sommersa (a scala ridotta per una turbina da 2 MW) a tiranti ancorati sul fondale.

Purtroppo la fase successiva di progetto Blue H della turbina su piattaforma galleggiante a piena scala fu abbandonata per difficoltà autorizzative.

Speriamo che in futuro vada meglio.

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